A cura di Anna Casale

Luis Sepúlveda, cittadino prima che scrittore, cileno di nascita e cittadino del modo poi, è scomparso all’età di 70 anni portato via dal “nemico invisibile”, numero uno che tiene in scacco, oggi, la popolazione mondiale: il Coronavirus.

Lui che è stato nella guardia personale di Salvador Allende, combattente durante la dittatura di Pinochet, arrestato nel ’73 del secolo scorso e torturato per mesi, liberato grazie ad una campagna in suo favore di Amnesty International, riuscita a commutare la sua condanna a morte in esilio.

Per otto anni “cittadino errante” tra il Brasile, il Paraguay e l’Equador dove riprende “tra le mani” la sua passione per la scrittura, per il racconto e inizia uno studio in collaborazione con l’UNESCO sull’impatto determinato dall’Occidente sulla popolazione indios Shuar. Da questa forte esperienza nell’89 scrive “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, dedicato a Chico Mendes, sindacalista e politico brasiliano assassinato. Romanzo che gli dona la notorietà internazionale, tradotto in trentacinque lingue. La storia racconta di un vecchio, Antonio José Bolívar Proaño, che vive solo in un paese sudamericano chiamato El Idilio. Antonio, dopo vissuto gran parte della sua vita con gli shuar, indigeni che avevano aiutato lui e sua moglie a sopravvivere nella foresta, trascorre la sua vecchiaia a El Idilio, dopo essere stato cacciato dagli shuar a causa dell’assassinio di un cercatore d’oro. Un giorno viene contattato dal sindaco del paesino per trovare e uccidere un tigrillo, che rappresenta una minaccia per l’incolumità degli abitanti della zona a causa della sua ferocia. Antonio entra a far parte di una spedizione di uomini e si addentra nella foresta per scovare l’animale. Antonio uccide la bestia ma non riesce a darsi pace: si ritirerà nella sua capanna a El Idilio a leggere romanzi d’amore per immergersi in un mondo di fantasia lontano dalla crudeltà del mondo reale.

Attivista Greenpeace, per anni membro dell’equipaggio di una nave dell’ONG.

Personaggio poliedrico, Sepúlveda è stato, oltre che scrittore, giornalista, regista e poeta, prolifero e “prolifico” dal punto di vista letterario. Tra le sue opere: “Il mondo alla fine del mondo”, “La frontiera”, “Patagonia express”, “Diario di un killer sentimentale” e “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” che ha fatto da apripista alla sua produzione favolistica e lo ha consacrato come scrittore per tutte le età.

Luis Sepúlveda credeva nella potenza della parola, usata come “baluardo” etico e “bussola”, la quale punta l’ago sempre verso il ricordo, riuscendo a schivare l’enorme burrone, in cui, nella nostra epoca, siamo tutti a rischio di caduta quello dell’amnesia. Ha saputo raccontare e narrare straordinariamente la storia del Novecento, dando voce a chi non ne aveva e non ne ha, è stato “compagno” di tutti i suoi personaggi.

Sognatore, nonostante la sua vita fosse stata un romanzo dai vari generi, restando consapevolmente fiducioso. In fondo è questo che rende Grandi: perseverare ad aver fiducia nel “mondo” anche se i percorsi di vita sono tortuosi.

“Solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo ad essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo”. (Luis Sepúlveda)