A cura della Redazione

Sarebbero almeno 166 i frammenti staccati dai Borbone dai muri della Villa di Giulia Felice di Pompei, al fine di comporre quadri con le loro pitture.

La Villa fu esplorata la prima volta tra il 1755 e il 1757 dai Borbone che la spogliarono degli arredi e le opere d’arte, in parte conservati nel Museo Nazionale di Napoli. Tra i vari affreschi che divennero quadri, uno di essi - esposto al Museo - copre l’intera parete della domus con quattro nature morte di secondo stile. Altri sono custoditi nei magazzini, hanno bisogno di restauro. Tre frammenti con quadri pittorici sono esposti al Louvre di Parigi, altri ancora sono sparsi tra collezioni private e pubbliche di tutto il mondo mentre di diversi altri frammenti mancano notizie certe.

Le fonti di scavo borbonico riportano che la Villa presentava alcuni solchi sui muri, segno che alcune opere erano state prelevate in precedenza. Risulta che la Villa è stata scavata per la seconda volta da Amedeo Maiuri nel 1953. Recentemente è stata in parte ristrutturata con i fondi del Grande Progetto Pompei e riaperta cin il giardino in bella vista.  

Il nome di Giulia Felice è famoso per la scritta sulla facciata della Villa che proponeva l’affitto del fondo (praedia). Dopo il disastroso terremoto del 62 d. C., parte di esso fu concesso in affitto per cinque anni “a persone perbene”. Il complesso si presenta diviso in due parti, con ingressi indipendenti; la più riccamente e decorata era riservata mentre l'altra, provvista di terme, veniva data in affitto. 

La domus si presenta con un doppio atrio, il grande peristilio centrale separato dagli ambienti di rappresentanza. L’interno di un sacello contenuto nel peristilio era dedicato al culto di Iside. Il contesto interno era selvaggio e roccioso, sacro al dio Pan, mentre  i giardini erano ispirati alle accademie filosofiche greche. Nel giardino al centro del peristilio c'è una peschiera attraversata da tre ponticelli. Sul muro di fronte sono state scavate nicchie arredate con statue in terracotta di sapienti e filosofi. La colonne quadrangolari del porticato del giardino sono rivestite in marmo. Sedici frammenti di uno stesso affresco conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, noti come scene di vita del Foro, rappresentano probabilmente una sequela di arti e mestieri mentre è incerta la collocazione del quadro complessivo nella domus e la sequenza delle figure. Una parete presenta un fregio diviso in quattro quadri con un satiro centrale. Il primo quadro raffigura una forma di pane a nove spicchi affiancata da un vassoio anch'esso con pezzi di pane. Accanto una scodella vuota e delle uova; il successivo mostra del pesce fresco; il terzo pannello rappresenta un vaso d'argento sul quale è poggiato un cucchiaio ed affianco una brocca di vino; l'ultimo quadretto contiene delle monete. 

L’archeologa Valeria Sampaolo, il 7 ottobre scorso, durante la conferenza “Nuovi dati sulle pitture dei Praedia Juliae Felicis” presso l’Auditorium della Soprintendenza di Pompei (organizzata dall’associazione Amici di Pompei), ha descritto i vari quadri (molti di essi di quarto stile), la qualità delle opere e la  loro  fattura (diverse provengono dalla locale bottega di via Castricio). Si tratta della ricostruzione di un puzzle che probabilmente non vedrà mai la fine per la mancanza di molti tasselli importanti rispetto all’inventario complessivo dei frammenti affrescati, distaccati dalla domus per formare quadri.

Il tutto resta uno studio incompleto nonostante la Sanpaolo vi abbia dedicato l’arco completo della sua prestigiosa attività professionale.     

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