A cura della Redazione

"L’oggi di Dio e i segni dei tempi in un mondo che cambia” è il titolo della Lettera che l’Arcivescovo di Pompei, Tommaso Caputo, ha scritto per il 40° anniversario dalla Beatificazione di Bartolo Longo, il fondatore della città mariana, alla quale il messaggio del Prelato si rivolge in maniera particolare.

Si tratta, in realtà, di un vero e proprio documento che, prendendo spunto dalla significativa ricorrenza, e proprio alla luce dell’esperienza e del carisma del Fondatore, allarga lo sguardo al mondo intero, posto di fronte a una crisi inattesa e misteriosa, con risvolti che vanno anche oltre i drammatici aspetti sanitari ed economici.

Sotto osservazione è particolarmente la realtà del Mezzogiorno, l’area in cui vive e opera il Santuario mariano, già penalizzata da problemi e mali antichi che continuano a rallentarne un organico sviluppo. A rendere più acuta l’emergenza è ora l’irruzione di un “avversario” che non fa sconti e che, per le dimensioni dell’offensiva, porta in primo piano una serie di “segni dei tempi”. «C’è voluto tempo – scrive Caputo – per renderci conto che l’attacco della pandemia era a tutto campo. E che, oltre a quello sanitario, il primo fronte riguardava la nostra stessa condizione, il nostro modo di stare al mondo, di relazionarci con esso, come abitanti di una casa comune che improvvisamente veniva a trovarsi sotto assedio».

Tornano alla mente le parole di Papa Francesco all’Angelus del 31 maggio: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla». Il tempo della crisi è anche quello delle scelte, delle decisioni in una fase storica in cui assistiamo a un evidente cambiamento d’epoca. Dalla crisi dovrà scaturire un’umanità migliore. Lo dobbiamo anche alle vittime di questa pandemia.

«Anche a Pompei è toccato lo strazio degli addii distanziati ai nostri cari», ricorda l’arcivescovo. È il tempo dell’impegno, della responsabilità, dell’accantonamento del criterio accomodante del «si è fatto sempre così», della Chiesa che deve dimostrare di non essere un «corpo separato dalla società», ma aprirsi «ancora di più agli altri e rinnovare nei confronti delle realtà che ci circondano quello sguardo caloroso che, particolarmente dal Concilio in poi, ha caratterizzato il suo atteggiamento verso il mondo». Pompei, la sua storia, la vicenda personale del Fondatore, hanno tanto da insegnare soprattutto nella scelta preferenziale per gli ultimi in una prospettiva di giustizia sociale, un orizzonte che riguarda non solo i credenti, ma tutti gli uomini e le donne di buona volontà. «Guardando a Bartolo Longo – afferma ancora Caputo – possiamo trovare anche oggi, nel difficile momento che stiamo vivendo, la forza e l’ispirazione per dare nuovo slancio al nostro impegno personale, ecclesiale e sociale. Non possiamo e non dobbiamo lasciarci abbattere dai problemi e dalle incognite che vorrebbero impedirci di realizzare la nostra inequivocabile vocazione: annunciare il Vangelo e portare avanti l’opera del Beato Bartolo Longo».

E se il Fondatore, arrivato nell’allora Valle di Pompei nel 1872, non trovò altro che desolazione e una terra abitata solo da uno sparuto gruppo di contadini che sopravvivevano tra miseria, malaria e briganti, così oggi l’Italia e il mondo vivono il tempo di una necessaria ricostruzione, che richiama il valore della responsabilità, spesso mandato in esilio dalle nostre comunità. Per l’ampiezza dei contenuti, la Lettera è un passaggio cruciale nella vita di Pompei perché ricollega l’esperienza del Beato Bartolo Longo alle vicende dell’ultimo quarantennio, aprendo, soprattutto sul piano pastorale, nuovi orizzonti sugli anni che verranno.