A cura della Redazione
Tutti uniti nel segno del pallone. Accade pochissime volte ormai in Italia. Siamo un Paese diviso, spaccato: nord contro sud, destra contro sinistra, correnti contro correnti, non c’è nulla che riesca ad aggregare più del calcio. Almeno nella fase dell’attesa, aspettando che l’Italia - lunedì sera contro il Paraguay - scenda in campo per la prima volta in questa coppa del mondo. C’è da difendere il titolo conquistato quattro anni fa, e proprio il ricordo della magica atmosfera vissuta durante il mondiale di Germania resta la sensazione più bella: replicare sarebbe il massimo. La voglia di festa che abbiamo dentro di noi non aspetta altro per esplodere di nuovo. Ma questo appartiene al mondo dei sogni, realizzabili per carità, ma non abbinabili ad alcuna certezza. Sarà pure felice il Paese che non ha bisogno di eroi, ma a noi italiani gli eroi sono sempre serviti. Ci esaltano, scatenano uno spirito positivo di emulazione, ci fanno sentire migliori di quel che siamo. Insomma non ne possiamo fare a meno. Soprattutto in tempi come questi: tra la crisi mondiale e le emergenze nostrane, stiamo passando il periodo più brutto della nostra storia recente. E noi, a Torre Annunziata stiamo anche peggio degli altri. Le crisi portano divisioni spesso insanabili: siamo costretti a litigare per il lavoro, bene primario per un’esistenza normale, pure il diritto sacrosanto alla pensione viene differito in avanti, allungando delle volte a dismisura carriere logoranti. Occasioni per sentirci un Paese unito ce ne sono davvero poche. Senza cedere troppo alla retorica, lo sport e il calcio sono tra queste. Ecco perché tiferemo tutti per gli azzurri, superando per una volta le divisioni delle bandiere. L’incantesimo durerà fin quando non prevarrà la nostra naturale vocazione a sentirci commissari tecnici, tanti piccoli Lippi che vorrebbero imporre la propria formazione. Comunque vada, il dialetto più parlato in nazionale sarà quello napoletano. Dal capitano Cannavaro, il simbolo dell’ultimo trionfo, allo stabiese Quagliarella, a Di Natale, a Bocchetti e Criscito, se aggiungiamo anche De Sanctis e Maggio, napoletani d’adozione, siamo quasi al trenta per cento: un dettaglio che fa onore e che in fondo ci fa sentire ancora più vicini a questa Italia. Non sarà la più forte tra quelle che hanno partecipato alle ultime edizioni del mondiale, ma fa tanta simpatia. Si comincia, d’ora in avanti conteranno nulla le polemiche, serviranno i risultati. Ha ragione solo chi vince. Più o meno come accade nella vita. MASSIMO CORCIONE