A cura della Redazione
Un quarto di secolo, praticamente una vita è trascorsa da quando Giancarlo Siani venne ucciso nella sua Citroen Mehari. Immagini che il film di Marco Risi hanno riportato fisicamente alla luce. La pellicola ancora gira in tv, a perpetuare la memoria e anche il ricordo di come eravamo noi a Torre Annunziata, la città dove Giancarlo ha svolto quasi interamente la sua brevissima esperienza da cronista. Rileggevo, qualche giorno fa, qualcuna delle corrispondenze scritte da Giancarlo: oggi Torre non si discosta molto da allora. Non parlo delle persone, appartenenti a epoche diverse, quelle sì non raffrontabili, quanto della sostanza. Torre Annunziata descritta da Siani era infestata dalla camorra, non esisteva settore nel quale l’infiltrazione non fosse tanto profonda da distruggere qualsiasi speranza di pulizia. Era così da noi, era come in tutta la provincia di Napoli: la camorra ha ucciso Giancarlo Siani, non basteranno mai le condanne inflitte ai suoi assassini per vendicare quella morte assurda e ingiusta. Guai a farla cadere nell’oblio, guai a evitare di parlarne: la memoria viva che associazioni, professori, giornali, tv, semplici cittadini costantemente rinnovano è uno dei pochi segni che qualcosa è cambiato. Anche un film come Fortàpasc aiuta, senza attribuire al cinema il ruolo di un tribunale. Spiegare ai ragazzini delle elementari e delle medie chi sia stato Giancarlo Siani senza le sequenze cinematografiche sarebbe stato più difficile, quasi impossibile. 25 anni dopo siamo un po’ più liberi: l’azzeramento di una generazione di boss ha fatto di Torre Annunziata una città più vivibile, ma la minaccia è sempre in agguato. Combattiamo ancora per le stesse vitali necessità: il lavoro innanzitutto. Mancava allora, manca oggi, il tasso di disoccupazione è lontanissimo dalle medie nazionali, tenuto a bada solo dalla continua emigrazione. Siamo sempre meno, contiamo nulla. Non nascono nuovi mestieri, come accade altrove, i posti fissi spesso si dimostrano effimeri miraggi, anche difendere le ultime conquiste diventa fatica inenarrabile quanto vana. Giancarlo questa emergenza l’ha raccontata per anni, immedesimandosi nelle storie che ascoltava. Anche se il futuro lo avrebbe visto impegnato nella redazione napoletana del Mattino, si sentiva un po’ torrese, critico ma innamorato di questa striscia di terra dove aveva trovato amici veri e la possibilità di affinare il suo talento naturale. Aveva appena cominciato, non gli hanno consentito di continuare. Un quarto di secolo dopo, ancora si sente l’assenza di Giancarlo Siani. Uno di noi. MASSIMO CORCIONE