A cura della Redazione
Il dramma si consuma troppo vicino a noi perché si possa far finta di niente. La chiusura della Fincantieri a Castellammare significa la fine di un’era, il capolinea di un modello di sviluppo completamente negato dalla nuova realtà. Il sindaco Luigi Bobbio ha lanciato il grido di dolore a nome di duemila famiglie che vivono intorno alla struttura ora destinata a diventare l’ennesima cattedrale del lavoro sconsacrata. Tutti hanno definito la decisione sofferta, ma inevitabile, da Nord c’è stato anche chi si è avventurato a dichiarare benvenuto il nuovo corso. Nessuno dal Centro s’è preoccupato di indicare un’alternativa, una direzione verso cui incamminarsi ora che anche una delle ultime certezze è miseramente crollata. Non ci sono elezioni in vista a Castellammare, anche questo ha contato molto: altrove si promettono amnistie fiscali, condoni per nefandezze urbanistiche, ma al lavoro che se ne va non pensa nessuno. Come se il passato non avesse insegnato nulla, come se, quando la siderurgia chiudeva le proprie fabbriche e nulla e nessuno ne prendeva il posto, non avessimo tutti assistito al reclutamento in massa presso l’esercito della malavita. Quegli anni furono terribili, dove il confine tra il lecito e l’illecito veniva costantemente superato. Anzi la legalità fu confinata in una piccola isola nell’arcipelago del malaffare. Se qualcosa è stato recuperato negli ultimi tempi, il merito va soprattutto a chi per mestiere e dovere è incaricato di reprimere, non di prevenire. Dobbiamo dire grazie ai capitani Toti, ai poliziotti che hanno smantellato i bunker e le roccaforti, ai finanzieri che hanno indagato su ricchezze sommerse. Ma il loro compito si ferma davanti alle nuove esigenze di chi cerca almeno di sopravvivere. Mazzate come questa della Fincantieri sono letali, minacciano di azzerare quanto di buono è stato fatto finora, di abbassare la soglia, di confondere le idee. Proprio a Castellammare, qualche settimana fa, una processione fu dirottata per rendere onore a un capobastone, il segno che il contropotere è tornato a imperare in alcuni quartieri, quasi un avvertimento che la guerra può ancora essere persa, nonostante vittorie significative siano state conseguite. Un colpo come quello inferto dalla Fincantieri manda kappaò l’economia di un’intera comunità. Municipio occupato, strade bloccate, ferrovie invase dai manifestanti: il rituale disperato dei senzalavoro servirà a far riaprire gli occhi a chi per anni li ha chiusi. Non abbiamo il tempo di aspettare nuove elezioni per trovare risposte. Intervenite subito, voi che potete. MASSIMO CORCIONE