A cura della Redazione
Sarà perché tutta la città è stretta in una striscia larga appena un chilometro, sarà perché l’imponente presenza del Vesuvio limita lo sguardo e lo spinge dalla parte opposta, sarà perché quell’orizzonte racchiuso tra Punta della Campanella e Capri evoca sogni e leggende, ma è dal mare che arriva il vento di speranza. Troppo spesso l’energia si disperde quasi subito e ci costringe anche fisicamente a ripiegare verso il Corso, depositario di storie che appartengono ormai al passato. Torniamo al mare, allora. Non approderà alcun salvatore, non attendiamo di essere liberati, ma possiamo essere noi a costruire l’arca. Non vi sarà sfuggita la notizia, pubblicata con grandissimo risalto sulla stampa napoletana, sull’ipotesi di ospitare nel 2013 a Napoli l’anteprima della Coppa America di vela, il campionato per designare lo sfidante al detentore. Il governatore della Regione, Caldoro, ha chiamato alla massima collaborazione i sindaci di Napoli e Salerno, proponendo un patto per sfruttare al meglio l’occasione che era stata già inseguita senza successo quando a essere scelta fu poi Valencia. Chiunque sia stato, per lavoro o per vacanza, nella regione valenciana si sarà accorto della trasformazione che l’intera zona ha subito: il recupero di aree quasi abbandonate e la valorizzazione di altre sempre sottostimate sono il risultato più evidente, sotto gli occhi del viaggiatore più distratto. Un esempio oltre che una pietra di paragone. Che cosa c’entra Torre Annunziata con questi grandiosi progetti di rinascimento regionale? Per ora nulla, ma l’organizzazione di un evento del genere non può essere circoscritto a un solo luogo. Quindi puntiamo al ripescaggio. Gli equipaggi e le loro famiglie, i tecnici addetti alle imbarcazioni, gli organizzatori, gli immancabili giornalisti formano una piccola cittadella difficile da concentrare in uno spazio tutto nuovo. Tra Napoli e Salerno ci siamo noi, la parte del Golfo meno sfruttato che esista. Abbiamo il porto che richiede da anni ormai un intervento per restituire profondità al fondale. Un’opera ormai indifferibile che sta già costando qualche mancato attracco di navi medio-grandi. Sarebbe il modo migliore per recuperare risorse e provare a ridisegnare una parte di città consegnata al passato più che proiettata verso il futuro. Chiamiamola pure una pazza idea, ma come si fa a non inseguire tutte le possibilità che capitano? MASSIMO CORCIONE