A cura della Redazione
Almeno ci siamo risparmiati la monnezza. Nei giorni in cui i cumuli di sacchetti e i roghi mefitici di Napoli hanno invaso di nuovo telegiornali e quotidiani, noi ne siamo fuori, arroccati in un’oasi che non sarà il Paradiso, ma che è sempre meglio dell’Inferno. Per una volta abbiamo anticipato l’emergenza, trovando collocazione per i rifiuti prodotti in casa. Mi pare giusto riconoscerlo, tacerlo sarebbe un atto di malafede. Magra consolazione, però, che apre un’estate tutta in salita. Le assicurazioni che arrivano dalla Regione sul Sarno e sul ponte di via Sepolcri sono tardivi tentativi di riparazione per una situazione ormai compromessa. La stagione balneare è andata a farsi benedire, i primi giorni dell’estate hanno riservato la solita acqua ben oltre il limite dello scandalo, mentre altrove, a Portici, festeggiano il ritorno alla normalità che da queste parti è il massimo dei traguardi possibili. Si parla di settembre, di nuovi lavori, di sede autostradale da modificare per almeno duecento metri, quando per mesi ci siamo cullati nell’illusione che bastasse un semplice click per mettere in funzione il depuratore e far scattare l’opera di sistemazione del cavalcavia mancante da 5 lunghissimi anni. L’inizio del 2012 è il nuovo termine che è stato posto per chiudere una vicenda interminabile. Dopo che gli ultimi annunci sono stati disattesi, resta alto lo scetticismo, non si crede più a nulla se prima non si tocca. E’ la nostra condizione permanente che torna, lo stato peggiore che si possa vivere, perché ci si sente tutti impotenti davanti a un muro di permessi, assensi, veti, paure di assumersi responsabilità. Che poi sono i nostri mali da sempre: siamo ostaggi di altri che devono sempre decidere per noi, stabilire quale strada deve imboccare il nostro destino. Per mesi ci siamo cibati dei sogni sulla Zona Franca, l’occasione per stimolare una volontà imprenditoriale che di solito finisce sommersa sotto gli impedimenti fiscali. Poi è tutto sfumato, la realtà ha preso il sopravvento come era accaduto per le industrie che avrebbero dovuto ripopolare l’area delle grandi fabbriche. Il tempo delle attese deve finire, spazio alle opere, ai provvedimenti concreti, alla soddisfazione dei bisogni primari qui mortificati come non accade da nessuna altra parte. La soluzione al problema monnezza è solo un esempio, l’importante è che non resti isolato. MASSIMO CORCIONE