A cura della Redazione
Finalmente è arrivato il giorno della Festa. E che Festa sia. Il 22 ottobre come momento di pacificazione, di cancellazione dei contrasti, di comunanza nella gioia di ritrovarci. Non è buonismo per forza, né voglia di non vedere, di chiudere gli occhi per sognare un mondo che non sarà. E’ il senso laico della celebrazione religiosa in onore della Madonna della Neve, un culto che per chiunque sia torrese è un elemento di aggregazione e non di divisione, una volta tanto. Riusciamo a essere anche strenuamente campanilistici, rivendicando la conquista del quadro conteso ai pescatori stabiesi. Se l’accostamento non fosse blasfemo, insieme al Savoia è l’altro simbolo di unità in una popolazione eternamente spaccata in mille fazioni. Mai attesa è stata più tormentata, arroventata dalle polemiche, esasperata da una contrapposizione che vede cittadini contro cittadini più che governo della città contro l’opposizione. Litighiamo per il finanziamento dei festeggiamenti, per la scelta dei cantanti, magari anche per il colore dei fuochi d’artificio, o per la musica che li accompagneranno. La sensazione è sempre la stessa: tutto inutile, una vana fiera delle parole che non ci porterà da nessuna parte, soprattutto che non porterà nessun vento nuovo. Tutti l’invocano, ma soffiano in direzioni opposte, neutralizzando gli sforzi. E’ l’aspetto più avvilente della questione: si può protestare, contestare, denunciare; occorre però avere un progetto di cambiamento, sostenuto dalla consapevolezza che sia pronta un’alternativa concreta all’esistente. E questa va costruita, non s’improvvisa. L’esempio degli indignados è illuminante: siamo tutti indignati perché nulla funziona come dovrebbe, perché ciascuno di noi si sente precario nel proprio piccolo mondo, ma c’è chi strumentalizza con la sua violenza la nostra indignazione, chi con passamontagna e casco calati sul volto semina distruzione e terrore. Seppellendo pure la speranza che qualcosa possa cambiare. A Torre non abbiamo i black bloc, per fortuna, ma non siamo messi meglio. A qualcuno, e certamente non è un nostro benefattore, conviene alimentare la divisione: è più forte se non riusciamo a unirci neppure nella protesta Vista da lontano (le mie sono impressioni di chi vive la realtà torrese attraverso il resoconto degli altri), siamo nel pieno di una crisi esistenziale: vorremmo cambiare pelle, ma non sappiamo in cosa trasformarci. Manca ancora l’idea, avvolti come siamo in una nuvola di confusione. Una ragione in più perché il vento nuovo arrivi a spazzar tutto. Nel frattempo nulla va bene, ciascuno ha una ricetta per risolvere i problemi della città, senza trovare nessun altro che condivida questa scelta. Siamo in pieno censimento, tra qualche mese scopriremo quello che già sappiamo: siamo diventati ancora meno, la fuga continua e non verso paradisi lontani, dove lavoro e benessere sono conquiste riservate a tutti. Quei posti, purtroppo, non esistono; anche le antiche capitali industriali sono immerse in una palude che le blocca quando non le fa arretrare. Per un giorno almeno, azzeriamo tutto. Non risolveremo niente, ma ritroveremo qualche amico in più. Che la Festa cominci, purtroppo non durerà molto. MASSIOMO CORCIONE (dal periodico TorreSette del 21 ottobre 2011)