A cura della Redazione
Sessantasei anni: il 21 gennaio del 1946 la gigantesca esplosione di un treno merci carico di tritolo e munizioni devastò un intero quartiere nella zona del porto di Torre Annunziata, lasciando profonde tracce in tutta la città. Due terzi di secolo dopo, i segni sono ancora lì, memoria perenne di un disastro evitabilissimo, coinciso con la fine della custodia per un convoglio ad altissimo tasso di pericolosità fermo da giorni nell’area portuale. Solo macerie restarono là dove sorgeva il vecchio borgo marinaro, la prima cellula dell’insediamento torrese. Per decenni quell’area è rimasta spoglia, occupata da auto sempre più potenti, oppure (in occasione delle feste) da luna park che progressivamente si sono impoveriti. C’erano le nostre origini in quelle case distrutte, la vicenda per la riparazione del danno ha occupato generazioni di avvocati: i morti furono 54, un dolore non risarcibile. Un miliardo e mezzo di lire, invece, fu la stima fatta nel ‘46 delle conseguenze dello scoppio, con la rivalutazione saremmo arrivati a 100 miliardi nel 2002. Quanti oggi ricordano perché oltre il ponte della ferrovia c’è quello spazio nel quale si è tentato invano di traslocare il mercato del pesce appena sfrattato? Provate a indagare tra chi vi sta accanto, ne riceverete risposte vaghe, informazioni approssimative, provocherà sorpresa anche scoprire il giorno nel quale va collocato l’evento tragico. Eppure quel luogo è diventato il simbolo della decadenza della città, un destino condiviso con altre testimonianze di uno splendore lontano: il teatro Metropolitan, il cinema Moderno, e qualche antico pastificio diventato parcheggio. A questi segni del passato oggi s’accompagnano altre memorie, più recenti, ma altrettanto imbarazzanti: i cantieri eternamente aperti, e quelli che aperti non lo sono mai stati, nonostante progetti più volte rivisitati e, qualche volta, finanziamenti approvati. Il depuratore, innanzitutto, al quale sono legate tutte le speranze per riappropriarci almeno del mare, poi la bretella che dovrebbe collegare il porto alle autostrade, e (ancora) il ponte di via Sepolcri per il quale la nuova data di riapertura diventa termine perentorio non più differibile. Messi tutti i luoghi su una mappa, ne uscirebbe una Via Crucis lungo la quale a portar la croce sono stati soprattutto i cittadini torresi. Oggi come ieri, sessantasei anni fa. MASSIMO CORCIONE