A cura della Redazione
Non poteva che finire così, il primo simbolico atto della rifondazione del Savoia. I segni nel calcio contano; la coppa Italia, per giunta dedicata a un ragazzo torrese, è un trofeo da sollevare, una coppa che materializza il successo di un’idea: restituire a Torre Annunziata una dignità ricostruita dalla base, senza più salvatori o uomini della provvidenza. Sembra non un caso anche che la vittoria sia stata ottenuta ad Avellino, là dove una domenica di metà giugno, nel 1999, fu conquistata sul campo una serie B che resterà leggendaria per chi l’ha vissuta e per chi se l’è vista raccontare da padri e fratelli. Una gioia che mille straordinari tifosi, incessanti urlatori nella curva dello stadio Partenio, hanno condiviso, credo, con migliaia di altri torresi. Lo strumento stavolta non è stata l’immaginazione stimolata da qualche estemporanea cronaca telefonica, ma le immagini che arrivavano attraverso internet. Deve essersi formata, mercoledì pomeriggio, una catena invisibile che ha legato tutti coloro che hanno il Savoia nel cuore e nei ricordi. La qualità non era d’alta definizione, la mano degli operatori non fermissima, ma l’energia che quella diretta ha trasmesso è stata esaltante. Abbiamo vissuto – sì, c’ero anch’io – un’emozione straordinaria che ha fatto irruzione in un’ordinaria giornata lavorativa. Ma noi siamo stati solo dei beneficiari del piccolo trionfo, diventato per incanto grandissimo proprio grazie alla rete, in attesa di altre vittorie che tutti attendiamo. Impareremo a memoria anche i nomi di questi ragazzi come avevamo fatto per Padovani e Busiello, Villa e Peressin, Lunerti e Donnarumma, Califano e Masitto, gli eroi trasversali di generazioni che toccano padri e figli. Ora è il momento di Guarro, Ottobre, Ianniello, Montaperto, Savarese, Vitiello; racconteremo di Pasquale Vitter, pediatra che i suoi ragazzi li cura sul campo; di un gruppo di dirigenti oggi guidati dal presidente Verdezza, realizzatori di un sogno che sarebbe arido chiamare progetto; del nuovo finanziatore, Lombardi, subito conquistato dall’incredibile entusiasmo popolare. E poi, elemento costante in questa galleria della memoria, la presenza dell’esercito di tifosi che ha appena riconquistato il diritto a seguire la squadra in trasferta. E’ stata la promozione più sofferta, la più attesa, quella che va difesa domenica dopo domenica, viaggio dopo viaggio, vincendo le provocazioni. Ma questo è il momento della festa, la tentazione di rimanere prigionieri degli aggettivi è forte, però tutto è permesso quando le occasioni di gioia collettiva diventano sempre più rari. E lo sport continua a essere il portatore sano di felicità. Non serve a cancellare la precarietà di un’epoca forse mai tanto grigia, ma almeno offre qualche motivo per sorridere e festeggiare. Era accaduto l’ultima volta la scorsa primavera, una replica sarebbe gradita tra qualche mese, quando in palio ci sarà il ritorno in un campionato nazionale. Quella sì, sarà motivo di un grande happening, c’è un arretrato da recuperare, compresa la celebrazione dei cent’anni, traguardo che per il Savoia coincise con uno dei periodi più neri. Si può passare all’incasso, una volta tanto. Senza illusioni che escano dal campo di gioco: il calcio e la città non vivono vite parallele: la serie B non portò Torre più in alto nella classifica della vivibilità; le vittorie del Savoia oggi non porteranno nuove aziende e nuovo lavoro, ma un po’ di sorriso lo restituiscono. Per ora portiamo a casa quello, custodito in una coppa che sembra bella quanto una Champions. MASSIMO CORCIONE