A cura della Redazione
Ci sono assenze che non trovano mai compensazione, vuoti destinati a non essere mai colmati dal tempo. Una targa forse non serve a perpetuare il ricordo, ma sicuramente aiuta. Così il valore simbolico di intitolare alla memoria di Nardino Sfera e Catello Coppola due porzioni dello stadio di Torre Annunziata diventa altissimo, quasi un atto dovuto. E’ stato il loro campo di gioco, la voce che da Torre si levava per raccontare le imprese del Savoia, la nostra squadra. Ecco perché diventa quasi un dovere raccontare a chi non li ha conosciuti che cosa abbiano rappresentato nella piccola storia del giornalismo torrese. Diversi, diversissimi, poi improvvisamente complementari: Catello e il Professore, insieme avrebbero potuto essere i protagonisti di una serie tv americana, di quelle in cui le distanze tra i protagonisti devono essere fisicamente visibili. Intellettuale raffinato Nardino, con una passione viscerale per il gioco del pallone e un talento inarrivabile per la descrizione dei tipi, dei caratteri: usava la penna come un pennello, due aggettivi servivano per esaltare un personaggio, uno per distruggerlo. Apparteneva alla generazione che divideva i giornalisti tra cronisti e polemisti: lui era titolarissimo, per dirla alla Mazzarri, della seconda formazione. Avrebbe potuto sfondare nella professione che interpretava come pochi, avrebbe dovuto sfondare, ma il Sud era una provincia di Milano e lui amava definirsi un provinciale. Già Napoli era troppo grande per lui, le preferiva Torre con i suoi piccoli riti: il caffè, la sigaretta troppo presto proibita, il giro in motorino con il nipote di turno, le domande sempre insinuanti per conoscere fingendo di sapere già tutto. Una tattica che solo i grandi giornalisti riescono a praticare. Amava essere minoranza, con Ennedue aveva rilanciato l’idea fissa di un giornale tutto suo, raffinato nel pensiero e nelle forme. Catello per anni è stato lì, accanto al Professore, assorbendo come una gigantesca spugna tutto il sapere possibile. S’erano incrociati parlando di calcio e di Savoia. Non c’entravano i numeri che lui frequentava concretamente come commerciante e l’altro aristocraticamente come Maestro di logica più che di aritmetica. Non c’entravano i libri, perché sarebbe stata una gara improba pareggiare quelli letti da Nardino. Li accomunava invece la passione: per il pallone prima e per la politica poi. Schierati dalla stessa parte, sempre, formando spesso un monolite davanti al quale potevi schiantarti se accettavi la sfida dialettica. Meglio restare a guardarli, come in un telefilm finito troppo presto che adesso rivediamo attraverso una targa e una dedica. MASSIMO CORCIONE