A cura della Redazione
Senza alibi, per nessuno. Ora siamo tutti inchiodati alle nostre responsabilità: abbiamo eletto un sindaco, confermando chi ci ha governato negli ultimi cinque anni. Lo abbiamo eletto al primo turno, senza neppure l’appendice del ballottaggio, dimostrazione di una fiducia che resta l’unico dato indubitabile, al di là delle polemiche che hanno caratterizzato la campagna elettorale, al di là dei personalismi, al di là soprattutto della legittima contrapposizione tra maggioranza e opposizione. Il risultato inchioda (piacevolmente, credo) soprattutto Giosuè Starita, il sindaco: gli è stata riaffidata la città perché finalmente la cambi. E’ questo il senso del voto, che supera ogni analisi sul flusso degli elettori, sul cambio di maggioranza in una città finora dominata dalle scelte suggerite da un partito di maggioranza che adesso non esiste più come tale, disfatto molto più di quanto non stia accadendo in ogni altra parte d’Italia. Qui è tutto diverso, non c’è traccia significativa, per esempio, dei grillini che hanno conquistato prime pagine e qualche piccolo comune. L’antipolitica che ha attraversato il Paese come un ciclone, abbattendo steccati e distruggendo fortini, c’entra davvero poco. E pure l’astensione è un fenomeno che ha viaggiato controcorrente. Qui pure destra e sinistra sono categorie che non resistono più all’usura del tempo, diventando addirittura inutili in una situazione, come quella che viviamo da decenni, dove la precarietà è lo stato permanente. La città è protagonista dell’ennesima contraddizione: la conferma di Starita è tecnicamente una svolta perché è cambiata la maggioranza popolare che lo ha eletto. Interpretare questi messaggi non è facile: occorre trarne degli auspici favorevoli oppure contrari al rinnovamento che invece s’impone? Limitiamoci ai fatti: alla fine della consiliatura saranno dieci gli anni collezionati da Starita alla guida della Giunta, un tempo sufficiente per lasciare un segno. Nessuno s’azzarda a dire che nulla è stato fatto. Delle occasioni sono sfumate, molto però è stato preparato in attesa di una realizzazione che qui tarda sempre a venire. Il riconoscimento arrivato dal Sole 24 ore sull’efficacia del piano rifiuti è stato un raro caso in cui Torre Annunziata non è stata associata a una brutta notizia. Sicurezza, lavoro, riappropriazione del mare come risorsa: le priorità solo le stesse di sempre, le stesse che anche gli altri candidati avevano posto alla base dei propri programmi. E’ mancato un tocco di fantasia, ma il momento gramo che l’Italia tutta attraversa forse non ha aiutato, favorendo invece una eccessiva personalizzazione della lotta politica che non ha favorito nessuno. I tentativi operati da Sica, Gagliardi, Di Paolo, dalla Pisani, Donadio, comunque sia andata, rappresentano degli apprezzabili atti d’amore verso Torre. Resto dell’avviso che frantumare la concorrenza abbia indebolito tutti, due candidature forti sarebbero state sufficienti a rappresentare le esigenze dei torresi, ora chi rappresenterà quel 48% diviso tra chi non ha vinto? Nella democrazia all’opposizione tocca un ruolo fondamentale, di controllo e di stimolo, ma non paralizzante. Bisogna confrontarsi sulle idee non sui pregiudizi, sempre in attesa che il vento cambi, che la crisi economica non costringa a trasformare la sopravvivenza in obiettivo massimo. Il voto pro Starita è un messaggio chiaro a concludere almeno il cammino iniziato. Il sindaco dovrà farlo con una squadra forte, soprattutto affiatata, e che veda in lui il leader, senza che nessuno si senta espressione di una parte. Presentarla prima, la formazione, sarebbe stato bello, ma, se arriveranno campioni dell’efficienza, tutto è recuperabile. Anche l’entusiasmo di chi s’è tirato fuori dalla lotta, preferendo restare a guardare. Perché, d’ora in poi, parafrasando una frase dell’ex presidente Boniperti tornata d’attualità nei giorni dello scudetto juventino, qui conta solo vincere. Senza alibi, per nessuno. MASSIMO CORCIONE