A cura della Redazione
Conoscevo Giancarlo Siani, tante volte è capitato di confrontarci su Torre Annunziata, la mia città e il luogo dove lui stava sperimentando il mestiere di scrivere: una volta anche sulla festa della Madonna della Neve. Lo incuriosiva la veste pagana della ricorrenza, la mania di sfoggiare l’abito nuovo, la folla strabocchevole in strada e la mania di riunirsi per vedere i fuochi e persino valutarli come se i fuochisti fossero studenti all’esame di felicità popolare. Per un ragazzo nato a Napoli e cresciuto al Vomero questo doveva apparirgli come un mondo lontano. Ricordo lo stupore quando mi raccontò d’aver scoperto che tra i finanziatori più o meno occulti dei festeggiamenti c’erano (allora) personaggi dalla dubbia moralità pubblica. Erano i tempi di Fortapàsc, i padroni erano loro, sentivano il 22 ottobre come il giorno della loro festa. Noi, gli altri, eravamo tutt’al più ospiti, beneficiari della magnificenza altrui. E, ammettiamolo, spettatori passivi, incapaci di ribellarci, convinti che quella soluzione fuorilegge rappresentasse comunque una soluzione praticabile. Avremmo dovuto protestare allora, staccarci da quella sottomissione. E nessuno di noi potrà mai dirsi non complice di quello scempio. Abbiamo aspettato che uccidessero un cronista, per sua virtù ancora capace di stupirsi. Abbiamo dovuto specchiarci al cinema e in tivù per renderci conto che i mostri eravamo anche un po’ noi. L’auto-analisi non è ancora finita, nel percorso di cura siamo sempre lontani dalla guarigione. Ventisette anni sono trascorsi dal delitto Siani, diventato un film, il soggetto di tanti libri e di mille ricerche sociologiche, soprattutto l’esempio di un’epoca disgraziata che ha fortemente condizionato il nostro futuro e ora pesa sul nostro presente. E’ un esercizio inutile (oltre che ingiusto) trovare affinità con la realtà di oggi, non fosse che per la presenza dello Stato sul territorio, immutata resta solo l’incapacità di una reazione a qualsiasi cosa ci danneggi per volontà di altri. Le polemiche sulla festa ne sono l’esempio. L’ultimo, non il solo. Perfino le buone notizie che potrebbero essere in arrivo su altri fronti della nostra trincea quotidiana devono essere tenute sotto traccia per evitare che finiscano per provocare altre divisioni. E il nemico, l’avversario, non abita necessariamente nell’opposizione. Ventisette anni dopo, Giancarlo ancora non avrebbe capito. E non solo perché era cresciuto al Vomero. E’ davvero tollerabile, per noi, non cambiare mai? MASSIMO CORCIONE