A cura della Redazione
Non chiamatela movida e ci troveremo tutti d’accordo. I meno tolleranti scopriranno di non essere stati deportati - improvvisamente e per un sortilegio - al centro di Rimini, e gli amanti della night on the beach resteranno lì, con i loro sogni di peregrinazioni notturne tra locali che non esistono ancora. La premessa delle mie osservazioni è sempre la stessa: vista da lontano, da chi Torre la vive attraverso i racconti che voi consegnate a blog e forum, la questione forse va ricondotta all’interno di confini meno esagerati (ed esagitati). A Torre Annunziata ci siamo lamentati per anni (e ancora lo facciamo) per l’assenza totale di una vita sociale, di luoghi d’aggregazione, di alternative concrete all’emigrazione forzata dei giovani anche solo per divertirsi. Quante volte abbiamo denunciato il mancato sfruttamento dell’enorme potenzialità della litoranea che costeggia gli stabilimenti balneari? Ora che qualcosa si muove, vorremmo imporre silenzio e coprifuoco. Oppure sfondare il muro dei decibel e della pazienza. Proviamo a mettere ordine: il diritto allo svago e quello al riposo hanno pari dignità e meritano altrettanto rispetto. Esiste un regolamento che impone orari di chiusura rigidi alle discoteche da spiaggia: basta osservarli e il buonsenso trionferà. Anche questa è legalità. La riscoperta della zona dei Giardinetti, la riapertura di pizzerie e ristorantini che da decenni erano monumenti al tempo che fu, il piano di recupero della zona portuale rappresentano tutte occasioni per un ritorno alla normalità che passi anche per un ritorno alla vita. Diurna o notturna non fa differenza, ma Torre Annunziata ha bisogno di uscire da quello stato di pre-agonia nel quale è sprofondata. Una delle ragioni è anche l’abbandono delle generazioni più giovani che sempre più spesso concepiscono le abitazioni familiari come un dormitorio dal quale evadere per andare altrove, nel capoluogo o anche in realtà meno esaltanti che almeno un buco dove ascoltare la musica, la loro musica, lo offrono. E quelle fughe serali riducevano Torre a terra di frontiera disperata. Siamo di fronte a uno scontro generazionale tra chi, rintanandosi nelle proprie case, ha abbandonato perfino l’idea che qualcosa possa cambiare e chi, pure senza tante sovrastrutture ideologiche, prova a ripartire. Io sarei tra quelli che la città la vorrebbero come eterno laboratorio, dove il pensiero si confronti, dove il limite del possibile venga costantemente toccato, superato. So bene che in discoteca a malapena intuisci qualche sillaba di chi sta a un palmo, ma almeno ci siamo, ci vediamo, qui sulla spiaggia nera. Verrà anche il momento in cui molti avranno voglia di abbassare il volume per finalmente incontrarci, parlarci, magari urbanamente litigare per difendere le nostre posizioni. Sarà quello il risultato che inseguiamo dopo anni di silenzio. Teniamoci questa non-movida, facciamo muovere le nostre idee. Il momento, forse, è giunto. MASSIMO CORCIONE