A cura della Redazione
"Finis Terrae" è l’evento espositivo che conclude il ciclo del laboratorio delle mostre di Spazio Zero11 del Liceo Artistico di Torre Annunziata. Nella mostra (inaugurazione venerdì 8 maggio ore 18, visitabile fino al 30 maggio) – a cura di Franco Cipriano, con la collaborazione di Raffaella Barbato, Luisa D’Auria, Carlo Mosca e Ciro Vitale e il coordinamento di Felicio Izzo, quattro fotografi – di area napoletana Aniello Barone, Giovanni Izzo, Mario Ferrara e Martial Verdier, francese di Parigi – espongono le immagini dei confini degli spazi e dell’anima, là dove è la soglia tra “abitare la terra” e il suo abbandono. Abitare uno spazio significa esserne ‘costruttore’, ‘farne luogo’, condividerne la memoria e la materialità, ‘pensarne’ le trasformazioni. Le immagini di Finis Terrae rivelano invece frammenti del mondo che ‘si svuota’, nel decadere della storia a ‘rovina’ del presente. “I quattro autori, ognuno con intensa singolarità di visione – scrive Franco Cipriano nel Quaderno edito per la mostra, con testi anche di Carla Rossetti e Felicio Izzo – ‘espongono’ un mondo sospeso, manifestandone l’immagine vuota di tempo, “ritagliata” oltre lo spazio relazionale, quando l’essere appare solo nell’addio. (…) Crocevia di oublieuse memoire, le immagini di Finis Terrae sono la scena della ‘caduta’ del tempo. Nell’immobilità foto-grafica è l’eco infranto del divenire. (…) Il paesaggio qui è dissolto nei frammenti del senso, dove niente più si connette, ogni cosa vive “di morte propria”, nell’assenza di ogni storia. (…) Immagini talmente sature di memoria da debordare nell’oblìo, per le quali “la verità è carica di tempo fino a frantumarsi” (Benjamin). (…) Fotografi “dell’altra storia” delle cose - gli autori di Finis Terrae - destinano le loro visioni a segnali di confine tra le forme di vita e la loro de-composizione. Là dove ‘finisce la terra’ inizia l’ignoto, l’inaudito, il ‘mostruoso’: così nella parola arcaica. Nell’ora del destino del tempo globale, la terra finisce nell’abisso del “senso umano”, dove le creature e le cose – i paesaggi, i corpi, il territorio - sono nella solitudine del decadere, come nelle immagini di Giovanni Izzo e Aniello Barone. In Martial Verdier la policromia corrosa di una ‘apocalittica alba’ spira sulle livide torri nucleari, monumenti estremi dell’ambiguità della tecnica, il cui nucleo oscuro “illumina di terrore”: paradossali orizzonti “sublimi” che decantano una inumana bellezza. Luoghi delle attese e delle assenze, le foto di Mario Ferrara hanno i colori di una natura artificiale; nei neon e negli edifici si riflette la glaciale ‘indifferenza’ delle periferie di ogni topografia urbana. Tra gli scenari ‘senza qualità’ di Finis Terrae, sembra riflettersi, come ‘canto’ di melanconica luce, la tonalità della “terra desolata” degli ultimi margini d’Occidente”.