A cura della Redazione

Una riunione di più di due ore nelle stanze del governo alla Camera dei deputati - come riporta Huffpost -. Una pletora di sottosegretari, capigruppo, relatori a confrontarsi ai due lati del tavolo. Con toni che non sono rimasti sempre su un livello di decibel accettabile. Al punto che qualcuno a un certo punto l'ha buttata giù dura: "A questo punto chiamiamo il ministro qui e parlate direttamente con lui di persona". Il ministro è Gian Marco Centinaio. E il nodo dei voucher l'ultimo da sciogliere tra Lega e Movimento 5 stelle in merito al decreto Dignità. Verso le quattro si affaccia anche Luigi Di Maio. In aula per qualche minuto, giusto il tempo per assistere alla bocciatura delle pregiudiziali di costituzionalità al suo provvedimento e andare a dare la sua personalissima bollinatura all'accordo.

Alla fine si trova la quadra, tra i gialli che volevano un ritocco minimale alla normativa esistente (quella dei Presto), e i verdi che spingevano per una reintroduzione massiccia del vecchio modello. Il compromesso per agricoltura e enti locali è faticoso, ma arriva senza scossoni. I ticket saranno reintrodotti per un massimo di dieci giorni per aziende che non superino gli otto dipendenti. Il vulnus scoppia sul versante turismo. Perché la prima formulazione prevede che la platea di chi poteva accedervi comprendesse tutte le aziende sotto l'ombrello del Contratto di lavoro nazionale. Un cavillo che avrebbe di fatto allargato a una larga parte del comparto della ristorazione la norma. Scoppia un parapiglia, risolto con una specifica nel testo: saranno le sole aziende ricettive a potersene servire. Era lo stesso Di Maio in mattinata a mettere in guardia tutti: "non ci deve essere uno scontro ideologico. Non voglio da ministro del Lavoro reintrodurli per creare liberalizzazioni selvagge e sfruttamento".

I relatori escono in Transatlantico, con una cartella sotto braccio che contiene l'accordo di maggioranza, e salgono in fretta i due piani dove stanno riprendendo le votazioni in Commissione. C'è la fretta di accelerare un iter che va più a rilento del previsto. E che sta facendo per la prima volta balenare nelle stanze dell'esecutivo la possibilità di ricorrere alla fiducia. Sarebbe la prima per il governo, non esattamente un cambiamento (cit.) rispetto al modus operandi di chi lo ha preceduto. Sarebbe uno smacco per il capo politico 5 stelle, che ha sempre negato di volervi ricorrere. Ma che si sta convincendo che piuttosto di rimandare tutto a dopo la pausa estiva l'extrema ratio potrebbe non essere una soluzione poi così deprecabile. È stato Riccardo Fraccaro, ministro dei Rapporti con il Parlamento, a mettere per primo le mani avanti: "Prevedo di non utilizzare lo strumento della fiducia ma questo dipenderà dall'atteggiamento delle opposizioni". Come a buttare la palla nel campo dell'avversario. Scordando che, per farcela arrivare, c'è sempre qualcuno che le deve dare un calcio.

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