A cura di Anna Casale

A distanza di cinquantasette giorni dalla strage di Capaci, in Via D'Amelio alle ore 16.58 del 19 luglio di 28 anni fa, perdevano la vita il giudice Borsellino e gli uomini della sua scorta. Vittime di un attentato di stampo mafioso che fece tremare l’intera città di Palermo.

Paolo Borsellino, uomo instancabile e dalla moralità inoppugnabile, nacque e crebbe nella Kalsa, l'antico quartiere di origine araba di Palermo. Figlio di farmacisti ma per curare il male peggiore della sua terra optò per gli studi in Legge. Si laureò a 22 anni con 110 e lode. Nel 1963 partecipò a un concorso per entrare in magistratura, si classificò venticinquesimo su 171 posti messi a bando, divenendo il più giovane magistrato d'Italia. Nel’65 venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. Fu nominato nel '67 pretore a Mazara del Vallo e nel’69 a Monreale, dove lavorò insieme a Emanuele Basile, capitano dell'Arma dei Carabinieri ucciso dalla mafia nel 1980. Con lui Borsellino porterà avanti la prima indagine sulla mafia, leitmotiv di tutta la sua carriera.

Nel 1968 sposa Agnese Piraino Leto, dalla quale avrà 3 figli: Lucia, Manfredi e Fiammetta. Valore fondamentale per il giudice era la famiglia. L’ha protetta strenuamente dalla realtà che la circondava, provando e riuscendoci a trasferire in essa ciò in cui credeva e per cui viveva.

Nel 1975 dopo il trasferimento al tribunale di Palermo, Borsellino fu assegnato all’ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Proprio questi istituì il "pool antimafia" di cui facevano parte, oltre a Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta.

Chinnici di lui scriveva: “Magistrato degno di ammirazione, dotato di raro intuito, di eccezionale coraggio, di non comune senso di responsabilità, oggetto di gravi minacce, ha condotto a termine l’istruzione di procedimenti a carico di pericolose associazioni a delinquere di stampo mafios".

La morte di Basile segna il momento della prima scorta per la famiglia che, in maniera consequenziale, porrà l’equilibrio familiare davanti all’obbligo di doversi reinventare. La costante presenza dei “guardaspalle” cambierà inevitabilmente le abitudini del giudice e di tutta la sua famiglia, li costringerà a vivere con la paura che il giudice impugnerà come “arma” di coraggio e non ne sarà mai vittima. Sue le parole: “la paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti.”

Con la morte di Chinnici, l’arrivo di Caponnetto a dirigere il pool nella preparazione del Maxiprocesso, che sarebbe iniziato il 10 febbraio 1986 nell’aula bunker costruita all'interno del carcere dell'Ucciardone a Palermo, nell’85 Borsellino con Falcone e le rispettive famiglie vengono trasferiti, per ragioni di sicurezza all’Asinara per concludere l'istruttoria del maxiprocesso che rinviava a giudizio 460 indagati. Il maxiprocesso si concluse il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli e 114 assoluzioni.

Dopo l’uccisione di Falcone, il 23 maggio del 1992, a Borsellino fu proposto di candidarsi come successore del fraterno amico e collega alla “Superprocura”, ma il giudice rifiutò nonostante la consapevolezza che quella sarebbe stata l’unica maniera per poter condurre le indagini sulla strage di Capaci.

Continuando il suo lavoro alla Procura di Palermo, oramai Borsellino è pienamente consapevole del suo destino, la sua “ora” è vicina. Nell’attentato, oltre al giudice, perderanno la vita gli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina ed Emanuela Loi. La famiglia di Borsellino rifiuterà i funerali di Stato, reputando il governo colpevole di non aver saputo proteggere “un proprio figlio”, preferendo una cerimonia in forma privata, svoltasi il 24 luglio presso la chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, a cui parteciperanno oltre diecimila persone.

Borsellino ha sempre creduto nei giovani e nella loro forza e capacità di poter cambiare le mentalità. Scuoteva le coscienze, promuoveva e partecipava ai dibattiti nelle scuole, nelle feste giovanili, spiegava ed effondeva i mezzi per poter sconfiggere per sempre la cultura mafiosa. “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo" (Paolo Borsellino).

Ricorrenze come questa pongono accenti, che dovrebbero essere “periodici” come i numeri decimali, sul concetto e la coscienza civica della lotta per la legalità e del contrasto alle mafie. Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta saranno commemorati oggi alle ore 20 a Torre Annunziata, nel quartiere Penniniello presso la stele dedicata al giudice Falcone.