Dopo il caso di Olbia, anche Genova è finita al centro di una nuova bufera: due persone sono morte in meno di ventiquattro ore in seguito all’utilizzo del Taser da parte delle Forze dell’Ordine, alimentando polemiche e interrogativi sulla natura di quest’arma, definita “non letale” ma già al centro di più indagini giudiziarie.
Come da prassi, l’autorità giudiziaria ha indagato gli ultimi anelli della catena: nel caso di Genova, quattro carabinieri che rischiano ora di finire sul banco degli imputati. A intervenire duramente è il MOSAC (Movimento Sindacale Autonomo Carabinieri), che parla di “ennesima ingiustizia” e punta il dito contro le responsabilità politiche e istituzionali legate all’adozione del Taser, introdotto ufficialmente in Italia nel 2022.
«Il Taser è stato classificato come arma “non letale” – afferma il sindacato – ma se lo è, perché ora si indaga sui carabinieri che lo hanno utilizzato secondo addestramento?». Il MOSAC ricorda che si tratta di un dispositivo approvato dopo commissioni tecniche, sperimentazioni e investimenti pubblici, prodotto da un’azienda americana in regime di monopolio su tutto il territorio nazionale. «Una catena che parte dal Governo – si legge nella nota – e arriva fino all’agente che lo usa per ordine di servizio».
La questione – secondo il sindacato – non può essere ridotta a singole responsabilità operative, bensì riguarda l’intero sistema di decisioni che ha autorizzato e promosso il Taser come strumento difensivo. Nonostante la classificazione tecnica come arma comune da sparo (Cass. Pen. 8991/2023, 45790/2024), l’opinione pubblica è divisa tra chi considera il Taser necessario per la sicurezza delle pattuglie e chi lo definisce strumento pericoloso.
Durissimo l’intervento di Luca Spagnolo, legale rappresentante del MOSAC: «Ancora una volta lo Stato protegge sé stesso e sacrifica chi è in prima linea. Ai carabinieri non bastano parole di solidarietà: occorre che qualcuno si assuma le proprie responsabilità nelle stanze dei bottoni».
Il sindacato invoca un’indagine completa che accerti non solo la condotta degli operatori, ma anche quella di chi ha deciso di adottare il Taser, lo ha acquistato, certificato e assegnato senza, secondo il MOSAC, chiarirne i reali rischi.
Nel frattempo, mentre la magistratura indaga, resta il paradosso: si chiede alle Forze dell’Ordine di intervenire con prontezza e di usare un’arma definita “non letale”, le cui conseguenze diventano però motivo di incriminazione per gli stessi agenti che l’hanno seguita come da protocollo.