A cura della Redazione
I carabinieri della compagnia di Torre Annunziata, agli ordini del capitano Luca Toti, hanno messo i sigilli all’area interessata al crollo della palestra delle armi all’interno del parco archeologico di Pompei. L’iniziativa è stata coordinata dalla procura di Torre Annunziata, che intende fare chiarezza sulle cause del disastro. I carabinieri, all´interno degli uffici della Sovrintendenza, verificheranno se vi sono dei documenti da acquisire agli atti. Di particolare interesse sono i carteggi inerenti ai recenti lavori di impermeabilizzazione del tetto che é poi crollato sabato mattina. Ricordiamo che l’edificio in questione fu bombardato nel corso dell’ultima guerra e successivamente restaurato. In quell’occasione fu coperto con un tetto in cemento armato che è stato la causa del crollo di tutta la palazzina, una volta che l’umidità proveniente dal terrapieno aveva fatto cedere una parete perimetrale. Probabilmente al magistrato torrese, come anche agli ispettori inviati dal ministero dei Beni Culturali, interesserà vagliare se i fondi a disposizione per i restauri ed i lavori di messa in sicurezza degli edifici sono stati spesi con oculatezza e prudenza. Il consiglio di amministrazione della sovrintendenza prima, ed il commissario all’emergenza, negli ultimi anni, assodata la quantità di mezzi finanziari a disposizione, predispongono anno per anno un budget degli appalti da conferire per i lavori di restauro. La magistratura deve chiarire se l’opera di previsione degli interventi è stata disposta con il dovuto equilibrio, vale a dire sulla base degli accertamenti dei tecnici interni (ingegneri ed architetti) dando la preferenza agli interventi ed ai restauri più urgenti, cioè dove c’è un pericolo imminente per l’incolumità dei ruderi che, in quanto all’aperto, sono soggetti alle incertezze degli agenti atmosferici, al vandalismo e ad incendi. In ogni caso è bene chiarire che solo adesso che i riflettori si sono accesi sui siti archeologici s’intravede l’urgenza degli interventi, mentre l’allarme partiva dal soprintendente Guzzo (l’ultima persona competente che ha diretto Pompei in modo continuativo) che in ogni uscita pubblica denunciava lo stato di pericolo per l’integrità del monumento e l’esigenza di forti risorse in uomini e mezzi finanziari. Richiesta non basata su una stima approssimativa ma su uno studio ben preciso, commissionato all’esterno nel 2005, con cui è stato passato sotto lente d’ingrandimento ogni pezzo della città antica. E’ stato inoltre redatto il preventivo di spesa per ogni segmento, domus o spazio d’interesse archeologico, e proposto un primo ordine di interventi di restauro da effettuare sui 44 ettari di città antica (mentre altri 22 sono ancora da scavare). Ordine che è stato rivisto da allora in poi ogni anno sotto la responsabilità dei funzionari che prendono le decisioni sugli appalti a cui dare la priorità. A questo punto resta chiaro che sono in campo tre ordini di responsabilità da vagliare da parte del magistrato, una volta chiarito se il crollo della palazzina delle armi sia da addebitare a cause naturali o all’imperizia. Il primo riguarda i fondi da mettere a disposizione (che dovevano essere in tutto 250 milioni di euro) e la professionalità dei dirigenti a cui affidare il monumento. Il secondo concerne l’attività dei funzionari e dipendenti addetti alla tutela del monumento: archeologi, architetti e custodi. Il terzo, afferisce all’attività di direzione (prima del soprintendente, successivamente del commissario) nell’apparto dei lavori di restauro, tenendo conto della loro urgena e delle situazioni di pericolo. MARIO CARDONE