A cura della Redazione

) Al via, a  regime pieno, il San Cristofaro. L’8 marzo apre i battenti una perla dell’accoglienza della costa del Vesuvio. Una struttura che ridisegna scenari del 700 non solo nell’edificio direzionale ma anche nell’architettura e l’arredo del verde circostante con i suoi zampilli e le cascatelle che strizzano l’occhio al Vanvitelli. Ercolano, come Napoli, si esalta nel contrasto delle culture e in quello dei colori naturali e dell’allegria popolare, fonte di una tradizionale ospitalità. Alla classicità del suo parco archeologico, patrimonio Unesco, e delle magnifiche ville del Miglio D’oro si contrappone il cuore pulsante del mercato degli stracci Resina. All’azzurro del mare replica il nero del lapillo. Il verde del parco regionale si confronta con il rosso della lava. All’allegria popolare si contrappone la severità del Vulcano. Elementi distintivi che hanno sicuramente influenzato la creatività architettonica e la gestione aziendale del complesso alberghiero San Cristofaro.

Eleganti gli ambienti interni. Sontuoso il parco circostante, ricco di 150 varietà di piante. La ricettività è invece dovuta alla gestione a cui va il merito del calore dell’accoglienza, tanto efficace che  ha sciolto finanche la neve di questo gelido scorcio d’inverno. Una comitiva di comunicatori del food con la regia dell’incomparabile Angela Merolla ha “assaporato” il magnifico sito alle falde del Vesuvio, nuovo di zecca nella struttura alberghiera che si avvale di frequenti richiami ad un territorio dal passato incomparabile pur attingendo a piene mani nel pozzo inesauribile della modernità nel settore del confort. Perla della serata (giovedì 1 marzo) l’ospitalità molto gradita al line restaurant, posto in un angolo appartato del giardino. Cordiale l’accoglienza del maitre Giovanni Nocerino. All’interno i piatti prelibati dello chef Antonio Tecchia che mette alla prova ogni giorno il suo talento, insieme ai suoi collaboratori, confrontandosi con un mix di tradizione, colore e cultura che rappresenta la radice stessa del business turistico. In altre parole l’executive cheff del San Cristofaro (formatore di giovani talenti della scuola alberghiera di Vico Equense) si esprime nei contrasti di gusti e di sapori e li riveste di richiami esotici col suo mestiere che vanta antenati nobili come Apicio, Plinio il Vecchio e Columella, che non disdegna la contaminazione di cucine di altri Paesi però utilizza esclusivamente prodotti  del territorio. L’accoglienza è partita tra portate di fritti partenopei, sfizi di mare e di terra, polpettine e panini mignon farciti di delikatesse d’orto, d’alici e di formaggi abbinati a calici di Oltrenero Brut. La cena ha celebrato un trionfo di aromi locali arricchito da contrasti di sapori e contaminazioni suggestive.

Dalla tipica Nizzarda provenzale (verdure e crudo di tonno) gustata abbinata al il vin rosé (Otrenero Cruasé) si passa alla portata di triglie in camicia di guanciale con schiacciata di fave in cuil’aroma esotico (chutney) è figlio del pomodoro campano. Poi è la volta di “cacio, pepe, ostriche e lime”. Un piatto di riso dal sapore impalpabile da far invidia ai cugini d’oltralpe. Quindi arriva a tavola la pasta mista del Pastificio dei Campi,  cucinata nella migliore tradizione del territorio, abbinata ai piselli, insaporiti dalla pancetta affumicata. Non basta. La portata è stata condita con schiuma di provolone del monaco, limone fermentato e battuto di mazzacolle. E’ un inno alla cucina vesuviana. Una cattiveria per i turisti che dovranno tornare a casa! Segue una sperimentazione yankee su pesce del mare nostro abbinata a salsa giapponese: Middine laccato al teriaky su pop-corn e insalatina di puntarelle. Non resta alla fine agli ospiti altra soluzione finale dell’ affogare nella pasticceria assortita il brindisi beneaugurante, in flute ripieno di Ferrari maximum demi sec i pensieri tristi della vita. Importante concludere che l’abbinamento dei vini ai piatti è stato seguito personalmente dal maitre che ci ha illustrato con fraterna amicizia le portate: Una ad una. Uno per uno. Pesce, verdure ed aromi chiedono al palato bianchi e rosati. Abbiamo degustato in abbinamento vini della tenuta il Bosco e della tenuta Ca’ Bolani. Una cena d’autore in un albergo da favola. 

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