A cura della Redazione
Ad onta di una pioggia persistente e violenta che ha infastidito e creato non poche difficoltà al corretto svolgimento dei molteplici eventi culturali, canori e commerciali programmati per la festa patronale della Madonna della Neve, una variopinta moltitudine di torresi si è riappropriata per qualche ora della città, invadendo strade, piazze e spazi culturali. Tra i numerosi eventi in programma, alcuni, purtroppo, per una serie complessa di problemi, sono passati sott’occhio. E’ il caso di “Luoghi Comuni”, mostra fotografica a cura di Paola Manfredi, che per la originalità dei contenuti e la mirabile collocazione scenica delle opere, avrebbe in tutta onestà meritato un maggior numero di visitatori e, conseguentemente, maggiore attenzione. Nella sala lavatoio, all’interno dell’ex orfanotrofio adiacente alla basilica di piazza Giovanni XXIII, l’artista, dal 21 al 25 Ottobre, ha esposto una serie di scatti riguardanti principalmente la nostra città. Non bisogna però pensare alle solite foto, quelle alle quali certa retorica iconografica ci ha oramai abituati: il porto con la cupola del Carmine ed il Vesuvio, i pescatori, l’affastellarsi di case variopinte. Qui si tratta di una visione più fumosa, trasfigurata e sognante, ma proprio per questo, paradossalmente più vera, più vicina alle attese, alle aspettative. Immagini che più che fissare la realtà, cristallizzano un sogno, una speranza, una visione. Ogni singolo soggetto, catturato dall’occhio fotografico di Paola Manfredi si specchia infatti in una superficie riflettente, così da creare immagini fluide, ricche di sfaccettature e conseguentemente, di mille interpretazioni. Ad arricchire e rendere ancor più particolare la mostra, è il contesto nel quale le opere sono collocate; una sorta di opera nell’opera, una perfetta combinazione tra contenente e contenuto. All’interno del lavatoio, recuperato grazie ad un attento restauro, sopra fili tesi da una parte all’altra della stanza, sono stese bianche lenzuola che fanno da fluttuanti pareti e da cornici alle fotografie della Manfredi. Muoversi nell’angusta stanza, scostare le lenzuola profumate di sapone di marsiglia, perdersi tra una foto ed una poesia, giochi di luce e musiche ammalianti, facilmente genera strane suggestioni. Un nuovo mondo, di trasognanti riflessi opachi e vividi colori si apre proiettando il fruitore in una dimensione del tutto surreale. All’appropriata originalità dell’allestimento ha contribuito il direttore del progetto “Diffusione Teatro” di Torre Annunziata Eduardo Zampella, secondo il quale: “Le immagini di Paola Manfredi attengono alla sfera virtuosa di chi osserva la natura e le cose con spirito d’avventura e sottile umorismo vagamente tinto di una leggera amarezza. Agiscono direttamente sulle sensazioni e di queste ne provocano di sottili quanto composite: come se non fosse possibile sfuggire alla memoria prigioniera di una qual certa fatalità che rievocano, talvolta, impietosamente. In esse si cela una sorta di rimprovero che invece di intenerire il pensiero, lo cattura nel rettangolo finito di figure immote e riflessi confusi dal vento e dalle correnti marine: uno dei temi preferiti dall’artista. Presenti e devote, riecheggiano del lavoro, del tempo, delle cose care e di volti su cui è scolpita, di volta in volta, una storia antica che involontariamente, riportata alla memoria, finiamo, necessariamente, per amare. E’ come se l’artista una volta fermato l’oggetto ce lo avesse nascosto e conservato gelosamente per anni per poi chiederci, oggi, il motivo per il quale l’avessimo mai potuto abbandonare, nei fatti… e nella memoria. Paola Manfredi ci mostra il racconto che abbiamo trascurato, sottovalutato, dimenticato. E per fare questo lo racchiude e imprigiona, apparentemente, in un cassetto, un foglio, una sedia, un catino, un secchio, una vasca per lavare i panni sporchi; talvolta tradendo la natura oggettuale stessa e la composizione funzionale del soggetto che ritrae. Cristalli dinamici e variopinti si staccano, così, dal freddo e tecnico supporto cartaceo. In questo, l’arte figurativa si fa spazio alla grande: noi abituati a vedere immagini fotografiche perfettamente a fuoco e ben delimitate nella struttura di un fotogramma, ci troviamo davanti ad una specie di trompe-l’oeil di natura squisitamente pittorica i cui gli oggetti vengono snaturati e rivalutati in modo tutt’altro che funzionale allo scopo strumentale per cui sono stati fabbricati. Dal punto di vista tecnico, siamo di fronte ad una ricerca, ad un tentativo ben riuscito di non limitare la fotografia ad un mero ritratto della realtà: il pensiero dell’osservatore viene trascinato a viva forza oltre la finitezza del rettangolo di carta di una stampa suscitando, letteralmente, sensazioni che travalicano, ovvero spaziano oltre, agendo sui sensi di chiunque sappia soffermare lo sguardo. Trovo che il sensazionale di questo esperimento sia il modo nuovo e diverso di reinventare l’immagine fotografica così inflazionata ultimamente da un uso frequente, digitalizzato e generalizzato della fotografia, molto spesso, niente altro che istantanea e commemorativa”. EMANUELE SOFFITTO (Dal settimanale TorreSette del 30 ottobre 2009)