A cura della Redazione
Una professoressa di storia antica dell’università del Maryland (USA), Wilhelmina Feemster Jashemski, è stata la prima archeologa dei giardini di Pompei e del mondo antico. Ha adottato un metodo scientifico d’indagine utilizzando tecnologia d’avanguardia. Non si è limitata, infatti, nelle sue ricerche all’esame degli affreschi di Pompei e di Ercolano ma è andata oltre, conseguendo risultati apprezzabili. Nelle sue “campagne” è stata sempre accompagnata dal marito, Stanley Jashemski, un fisico che si dimostrò abile fotografo, lasciando in eredità alla comunità scientifica un archivio di oltre 30 mila slides a colori di piante, fiori ed erbe dei siti archeologici vesuviani e della Grecia antica. Lo scienziato americano fu anche abile organizzatore delle spedizioni scientifiche della moglie archeologa che si assicurò, grazie anche ai finanziamenti della sua università, la collaborazione di un gruppo di lavoro variegato che cambiava di volta in volta, secondo le necessità. Erano studiosi di svariate formazioni ed appartenenze, con cui ha instaurato un proficuo rapporto umano perdurato nel corso della sua vita. I personaggi che ha conosciuto sul territorio pompeiano dagli anni 50 in poi, sono nella maggior parte dei casi i protagonisti del micro cosmo che ha costituito la cultura archeologica vesuviana. Ne consegue che i profili che ha tracciato nelle sue note assumono un interesse particolare. Tutto questo ed altro è stato commentato a proposito delle ricerche e le pubblicazioni della professoressa Jashemski, sabato 6 ottobre, presso l’Auditorium degli scavi di Pompei, in occasione della presentazione del suo libro “Wildflower amid the ruins of ancient Greece and Pompeii”. Relatori il professore universitario emerito Massimo Ricciardi ed il direttore generale dell’Iccrom (centro internazionale di studio della conservazione e restauro dei Beni Culturali), Stefano De Caro. Il libro è stato pubblicato per iniziativa dell’Associazione Amici di Pompei. E’ di gradevole lettura: ad un ricco e dettagliato materiale fotografico delle piante e dei contesti ambientali dei ruderi greci e vesuviani, annette il commento erudito dell’autrice fatto di citazioni classiche con i nomi delle più famose specie della botanica “ruderale”. La migliore “trovata” tecnoarcheologica di Wilhelmina Jashemski, che l’ha resa famosa nello studio dei giardini dei parchi culturali vesuviani, è stata la realizzazione dei calchi delle radici di piante carbonizzate realizzati col metodo di far colare gesso nei fori dei campi e lasciarli solidificare, formando così i calchi della radici che rivelano la specie vegetale dell’albero. E’ lo stesso metodo inventato anni prima da Giuseppe Fiorelli per riprodurre le forme degli esseri umani e gli animali seppelliti sotto la cenere del Vesuvio. Il merito della Jashemski è stato quello di averlo applicarlo sistematicamente alle piante. Grazie alla sua intuizione è stato possibile riprodurre, per esempio, il giardino della Villa di Poppea di Oplonti con le stesse piante di un tempo. MARIO CARDONE da TorreSette del 12 ottobre 2012