A cura della Redazione

Ritorna a Torre Annunziata, dopo il grande successo ottenuto con “Anastasia, il ricordo di un sogno”, la Compagnia de “Gli Adagi”. Martedì 20 febbraio, al teatro Politeama nella città oplontina (ore 20:45), in scena la seconda "creazione" del giovane regista Yari Mirko Alfano, il musical “Ti chiamai fratello”, liberamente ispirato a “Il principe d’Egitto”.

Non definitelo semplicemente storia di un profeta. Colui che da “salvato dalle acque” è diventato l’uomo che ha diviso il Mar Rosso è da sempre circondato da un alone di mistero e leggenda da parte di chi riconosce in lui il profeta per eccellenza. Poco ci si è sempre chiesto sul lato più umano della sua vita, di quanto la parola “fratello” abbia segnato sollievo e cicatrici nella sua anima. Ne abbiamo parlato con il regista stesso, stuzzicato da questo interrogativo.

«Sono rimasto affascinato dalla storia di questo uomo in origine ricco ed appartenente ad una famiglia molto facoltosa - esordisce -. Una volta scoperte le sue vere origini, però, decide di seguire la sua essenza, abbandonando la via più facile che gli veniva offerta. Sono stato ispirato da questa vicenda dal momento che ben pochi avrebbero compiuto una scelta del genere».

Le scelte inusuali non sono nuove all’autore 27enne, ed anche la scelta dei protagonisti ha un suo criterio. «Non è casuale la scelta di far seguire ad Anastasia la storia di un uomo: cerco di orientarmi non solo in base alla morale che può trasmettere un racconto, ma anche per seguire un mio preciso filo conduttore. Credo che sia gli uomini che le donne, nel corso della loro vita,hanno le stesse difficoltà».

Il titolo “Ti chiamai fratello” lascia trasparire il lato umano e non prettamente divino del protagonista. «Il titolo l'ho immaginato pensando a come un individuo possa sentirsi dal momento in cui un fratello se ne va. Questa tematica molto forte mi ha ispirato a scriverne una sceneggiatura attorno, non mettendo al centro la storia di Mosè. Infatti il protagonista nel musical vive il rapporto con i suoi fratelli egizi ed ebrei, situazioni che lo rendono un uomo scisso e costretto a scegliere fra le sue origini ed i suoi ricordi di infanzia».

Diversi popoli, diverse culture e di conseguenza scontri, con un musical che diventa un grande specchio sull’attualità. «Oggi viviamo un contesto storico in cui siamo in una posizione di scelta fra giusto e sbagliato, ci sono diversi popoli in guerra e culture altrettanto diverse che lottano fra di loro - prosegue Alfano -. Pensando a queste situazioni ed osservandole da esterno io riflettevo su quanto ogni contendente, ogni popolo avesse le sue necessità, il suo torto e la sua ragione. Da psicologo ho voluto osservare e rappresentare una sorta di scontro fra due culture a confronto e che, come già detto prima, hanno entrambe torto e ragione. La conclusione è che “Ti chiamai fratello” non prende una posizione prettamente “proebrea”, ma propone le ragioni di entrambe le “fazioni” presentando anche il dolore di una madre che vive con grande angoscia il dissidio interiore del figlio che ha cresciuto e salvato».

Il pubblico è chiamato a prendere una decisione. Ciò che in origine sarebbe sembrata una biografia di un liberatore diventa un dibattito, dove entrambe le fazioni vengono disegnate in modo equo, dove la storia viene narrata in modo diverso, con dialoghi e confronti continui che trovano ampio respiro. Si scaverà nell’anima dei protagonisti e saranno totalmente messi a nudo, cosicché gli spettatori possano ragionare, comprendendo i motivi di ognuno. La riflessione da parte del pubblico è infatti l’intento del regista. «Non so quale sarà la risposta del pubblico. In realtà io sono dell’idea che in ogni serata ci siano un uditorio diverso e tante teste pensanti, è molto complesso credere che tutti abbiano la stessa idea - spiega il regista -. Mi aspetto che lo spettacolo possa non solo colpire ma far ragionare ed indurre alla riflessione, che possa piacere o meno. Inevitabilmente non è una cosa che possiamo gestire noi, il pubblico deciderà di volta in volta».

Compito arduo per tutta la Compagnia, che si è confrontata con un testo totalmente diverso dal precedente. «Sicuramente nei ragazzi c’è stato un miglioramento non inteso a livello professionale, ogni elemento ha stoffa, ma per quanto concerne la comprensione del testo, e questo passo avanti è stato molto importante: in questo musical c’è un testo più impegnativo rispetto al nostro spettacolo di esordio, è stato fatto un lavoro totalmente diverso, ma la Compagnia ha risposto in modo molto positivo».

Ma a chi vanno i ringraziamenti maggiori per questa nuova opera teatrale? «Ci tengo a ringraziare Mariaelena Del Prete, coreografa di tutto il corpo di ballo della On Dance Movement di Torre Annunziata (la scuola di danza di Elena Gravina, ndr), la quale ha saputo egregiamente integrarsi nella profondità del testo e creare coreografie non separate dal contesto ma rendendole un unico corpo. Le varie arti di danza, teatro e canto non sempre vanno a braccetto, la sinergia è stata complessa ma il lavoro ha dato abbondanti frutti. Ci sono poi Daniele Dattilo, scenografo e costumista dello spettacolo, che ha disegnato e progettato partendo da zero; Ellis Colin per le musiche e l’arrangiamento musicale, Lucia Pinto (conosciuta come The Wolf Acquamarine) per il progetto fotografico e tutte le altre persone che hanno collaborato per lo spettacolo e che ne hanno reso possibile la messa in scena. Una dedica in particolare? Decisamente a mia nonna».

Mosè arriva in teatro, ma non è più divinità. E’ un uomo che soffre, che si sente realmente vivo grazie ai suoi sentimenti, che viene abbandonato, spesso anche deluso. Un uomo che ascolta la voce di Dio, ma che pensa e va avanti per la sua strada, a fatica, con i suoi affetti che gli squassano il petto. Tiene botta e non molla, viene messo in discussione. Però ama, ama sempre, a volte in silenzio a volte no. Quella parola, “fratello”, che lo accompagnerà per sempre. Non somiglia forse… alla vita di ognuno?

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