A cura di Anna Casale

Ognuno di noi, almeno una volta nella propria vita, ha maneggiato o osservato qualcuno intento a dilettarsi in un gioco semplice ma astuto come quello delle carte. Ma in quanti si son chiesti da dove nascesse questo passatempo?

La genesi fenomenologica culturale e folcloristica delle carte da gioco non è certa, volendo fare una ricerca a ritroso nel tempo, ci troviamo davanti un percorso labirintico.

Prime notizie documentate sull’uso delle carte da gioco risalgono alla dinastia cinese Tang (618-907 d.C.), dove fu inventata la carta; secondo alcuni potremmo addirittura collegarle al tempo degli Egizi e dei Persiani, con le loro antichissime arti magiche. Con più certezza possiamo dire che sono state introdotte in Europa nel Medioevo dagli Arabi, durante la dominazione spagnola.

A Napoli, si inizia ad usare la parola “carta da gioco” nel 1577, quando, il governo spagnolo impose una tassa di un carlino per ogni paio di carte da gioco. Per il loro basso costo divennero, a quei tempi ma ancora oggi, la voce del popolo. Chiunque poteva produrle da sé. La sua simbologia riproduce scene e personaggi appartenenti al quotidiano.

Un mazzo di quaranta carte che nel tempo ha visto una trasformazione figurativa dei personaggi riprodotti: il dieci di spade, ad esempio, nel tempo è passato dal raffigurare Re Ferdinando a Napoli, Federico II in Sicilia, ad avere le sembianze di Vittorio Emanuele di Savoia; dal suo canto il nove di spade è la carta che più riconduce alle origini arabe, su di essa è raffigurato un cavaliere con la scimitarra ed il turbante: un moro; il tre di bastoni, denominato Gatto mammone, su cui è raffigurato il volto di un mostro con i baffi che sorride beffardamente, l’interpretazione data dal popolo napoletano alla figura è quella legata alla guardia cittadina che Liborio Romano istituì dopo aver venduto Napoli a Garibaldi. Ogni squadra composta di tre guardie dette capintesta, con grossi baffi, armate con un bastone. Tra questi si distinse Nicola Ajossa, un guappo senza scrupoli, dipinto sulle carte da gioco per ricordare la sua crudeltà.

Ma se le figure dei personaggi potevano trasformarsi nel tempo, i semi no. I semi non possono essere cambiati, nella tradizione popolare cambiarli porta male! Pertanto: denari, spade, coppe e bastoni hanno sempre mantenuto intatta la loro forma.

La simbologia dei semi si ritrova ad essere varia ed articolata. Coppe per il clero, denari per i mercanti, spade per i nobili e bastoni per i contadini; o ancora fare riferimento alle quattro stagioni o agli elementi: terra, aria, fuoco ed acqua che danno origine all’universo.

Il collegamento più “curioso” ed “intrigante” è quello che fa riferimento ad un quaternario magico: i bastoni, simbologia augurale, potrebbe indicare la fertilità che va ricondotta nella figura fallica del seme, potenza generatrice maschile; le coppe, che possono contenere il vino, simbolo di estasi dionisiaca, ispirazione divinatoria nei secoli ad appannaggio femminile; le spade, in qualità di giustizia, di senno che distoglie dal malfatto, dall’errore, dunque figura religiosa; i denari, che nella loro forma circolare è segnata la volontà dell’azione spirituale, senza inizio né fine, che potremmo ricondurre alla trinità.

Nel gioco delle carte nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio appartiene ad un preciso universo simbolico. Tutti noi nelle nostre case abbiamo almeno un mazzo di carte, da oggi in poi il gioco delle carte potrebbe passare dall’essere un distratto divertimento ad una fonte di curiosità per ogni sua giocata.