A cura della Redazione

Il primo Novembre 2020 ricorre il centenario dalla nascita di Padre Prospero Vecchione (al secolo, Gianfrancesco) nato a Domicella, paesino situato ai confini delle province di Napoli ed Avellino, da una modesta famiglia di contadini.

Ai molti fra quelli che leggeranno queste note e si domanderanno chi era Padre Prospero diciamo che era un monaco dell’Ordine dei Frati Minori Francescani, che è vissuto e ha operato presso il convento annesso alla Chiesa di Santa Teresa di Gesù, in Piazza Cesaro a Torre Annunziata, dalla fine del 1949 fino ad ottobre 1966, anno in cui partì per il Brasile, dove svolse opera di missionario e dove morì il 7 marzo 2005. In realtà la sua permanenza a Torre subì una interruzione negli anni tra il 1953/1955 e 1963/1964, suoi primi periodi di missione. Durante tutta la sua permanenza nella nostra città fu assistente spirituale del gruppo scout Torre Annunziata, fondato alla fine del 1948. Con questo scritto alcuni vecchi scout superstiti, testimoni di quegli anni e del suo operato, desiderano ricordarlo a chi lo conobbe e farlo conoscere come faro di virtù umane e cristiane a chi non ha avuto lo stesso privilegio.

Felice Cacace

In lui si fondevano spirito francescano e spirito scoutistico; spirito e opere. Trovammo in lui il sacerdote, il fratello, l’amico, il compagno di avventure, l’amante della natura, l’uomo che sapeva far diventare semplici le cose complicate e dare importanza alle cose semplici quando da esse dipendeva un rapporto umano o un aiuto da dare. Non era un predicatore: il suo linguaggio era chiaro, diretto e certamente più fruttifero (ci perdonino i tanti sacerdoti che pur stimiamo) di eloquenti e dotte, astratte omelie.

Quando arrivò a Torre Annunziata il Gruppo Scout era un po’ in crisi, a seguito dell’allontanamento di un precedente assistente ecclesiastico, quindi all’inizio avevamo un po’ di diffidenza e timore che la sua presenza potesse essere soltanto transitoria. Tuttavia, egli cominciò subito ad integrarsi, e lo fece con discrezione e umiltà. Ricordo che dopo qualche mese quando io gli espressi il timore di una possibile transitorietà del suo passaggio, egli mostrando il giglio simbolo dello scoutismo che aveva appuntato sul suo saio monacale mi disse: “Io sono venuto qua per questo e questo voglio fare”.

Nel 1950 fu proclamato l’Anno Santo (il primo dopo la fine della guerra). Valanghe di pellegrini confluirono, con ogni mezzo, dal treno alla bicicletta, all’autostop o semplicemente a piedi, verso Roma. Invogliati dal lui, e con lui, un gruppo di una ventina di noi decidemmo, di andare a Roma. Se ben ricordo partimmo in treno. Scegliemmo il più economico possibile (il più ricco fra noi aveva appena i soldi per pagare il viaggio, anzi qualcuno fu anche aiutato nell’ambito stesso del gruppo). Ci caricammo di zaini e tende e, giunti a Roma, andammo in giro alla ricerca di un posto dove accamparci, in qualche punto di campagna fuori città. A furia di girare e domandare trovammo una grotta nella quale riuscimmo a sistemarci alla meglio, evitando, quindi, di piantare le tende.

Ovviamente avevamo tutti il desiderio di andare in città per conoscerne almeno una parte e partecipare alle varie funzioni religiose, fra cui la rituale visita alle quattro basiliche e possibilmente assistere anche a qualche funzione con la presenza del Papa. C’è da dire che la distanza dal posto in cui stavamo fino al centro di Roma era tale che non la si poteva coprire in meno di due, tre ore. Avevamo già avuto modo di renderci conto dell’operosità di Padre Prospero, ma quello fu il momento in cui essa si rivelò nella maniera più evidente: fin dalla partenza non si sottrasse ad accollarsi il peso di qualcuna delle attrezzature, per quanto noi per il rispetto per il suo abito, cercassimo di esonerarlo; partecipò alle nostre marce con tono sempre allegro, sorridente, mescolando parole di incoraggiamento per qualcuno che si mostrava più stanco a qualche battuta di spirito, alla fine di quei giorni si era creato, fra noi e lui e fra noi tutti, un senso di solidarietà e fraternità che ci guidò poi per anni e, per noi superstiti, ci guida ancora.

Alfonso Scognamiglio

Entro nel gruppo Scout come lupetto nel 1953 e Padre Prospero non era nostro assistente perché era partito per il Brasile come missionario. Al suo ritorno, alla fine del 1955, io ero uno scout della squadriglia delle Aquile. Subito tra noi due ci fu una grande simpatia. Non era solo il nostro assistente, ma il capo, il confidente, l’amico, E’ stato il periodo più bello del mio sentiero di scout. Con la sua direzione trasformiamo il deposito del convento in una sede accogliente per i lupetti e per gli scout. Quanto lavoro ho fatto in quella sede! La sera sul tardi arrivava e dalla manica del suo saio usciva qualche cosa di buono per il nostro stomaco.

Poiché ero bravo a fare lavori di falegnameria mi soprannominò “masto inchioda e inchioda”. Poi finalmente inaugurammo la tana dei lupetti e la sede del reparto con quattro angoli di squadriglia. Nel 1959, alla partenza per il campo estivo di Serino, poiché era il primo anno in cui non si potevano effettuare viaggi su autocarri con persone e cose, Padre Prospero noleggiò un autobus, ma non fu possibile caricare sull’autobus tutto il materiale per il campo. Subito chiamò un suo amico che aveva un motocarro con un cassone grande e così riuscimmo a caricare tutto il materiale, ma bisognava accompagnare il trasportatore e Padre Prospero mi chiese se volevo essere io, vice della Squadriglia Aquile a montare sul cassone e, disteso sul materiale, a raggiungere, in quella posizione, la località del campo. In quello stesso campo furono inaugurate le nuove tende, tutte cucite sotto la direzione di Padre Prospero presso l’abitazione della famiglia Sannino. Poi, quel vulcano di uomo si inventò tante altre iniziative, tra cui la Cantata dei Pastori.

Il Gruppo cresceva ogni anno con una media di circa 150 iscritti, segno evidente del successo del suo operato. Poi parto militare, ma anche Padre Prospero ritorna in Brasile per il secondo periodo da missionario. Al termine del mio servizio militare ritorno nel gruppo ed anche Padre Prospero ritorna dal Brasile. Insieme ancora per due anni. A fine ottobre 1966 mi chiede di accompagnarlo, con la mia autovettura, a Napoli dove si sarebbe imbarcato per ritornare in Brasile. Io, con mia moglie Anna e insieme a Lello Di Luca, altro fratello scout, lo portiamo a Napoli e si imbarca. Sono passati 54 anni da allora e in me resta l’immagine di una persona carissima che si affaccia dalla poppa della nave e ci saluta con il saluto scout scomparendo poi all’interno del bastimento. Ancora sento sul mio volto le lacrime che lo rigarono per l’avvenuta, repentina consapevolezza, che non l’avremmo rivisto più.

Biagio Soffitto

Questa bella storia non sarebbe mai esistita, nessuno avrebbe mai potuto raccontarla senza la fede, l’entusiasmo, l’impegno militante e la forza d’animo di chi per molti anni ci fu amico confidente, padre, nella pienezza del termine: il frate francescano Padre Prospero Vecchione. Mandato dalla Provvidenza nella nostra città, grazie alle non comuni energie fisiche e morali di cui era dotato, seppe rendere sapidi e scintillanti gli anni della nostra adolescenza. Lavoratore e trascinatore instancabile, predicatore di grande spessore umano e di rara coerenza. Un vero uomo di fede, le cui parole arrivavano direttamente al cuore perché tra esse ed il suo modo d’essere e di agire non c’era distanza, differenza alcuna. Agiva secondo i dettami che predicava e predicava per come agiva.

Lo ricordiamo, fin dall’aspetto, come mirabile sintesi di opposti: forte, possente, ben piantato a terra, simile col suo saio a certe vecchie querce della terra irpina dalla quale proveniva, e al tempo stesso illuminato da un sorriso fanciullesco, affettuoso, disponibile, pronto alla parola che porta conforto e incoraggia. Intenso nella sua spiritualità, della quale intuivamo una profondità che lo faceva apparire ai nostri occhi degno di una riverenza e di un sentimento di ammirato rispetto mai più provati, ma anche pronto alla risata sonora, al buffetto sulla guancia, alla “carocchia” affettuosa, senza disdegnare quando necessitava, di sonore reprimende. Frate francescano e al tempo stesso convintamente scout, uno di noi; il primo di noi. Sempre pronto a rimboccarsi le maniche per scaricare il materiale che avremmo utilizzato per allestire il campo, montare le tende, raccogliere legna per il fuoco; non c’era attività fisica che lo spaventasse.

Lo spazio interno del portone d’ingresso della nostra sede, posta in una sorta di cripta mistica e misteriosa concessaci dai frati, era occupato in larga parte dalla sua Fiat 500 giardiniera degli anni ’50. Che spettacolo! Come non ricordare quell’auto, l’intenso e penetrante odore della benzina, le grandi ruote con i cerchioni bianchi, gli sportelli con fasce di legno chiaro, l’enorme volante madraperlaceo. Ad ogni campeggio o attività la riempivamo fino all’inverosimile di tende, corde, picconi, casse, zaini ed il buon Padre Prospero, da noi spesso chiamato con le sole iniziali del suo nome, P.P.V., bonariamente lasciava fare. Insieme a lui abbiamo cantato, marciato, litigato, pregato, poi le nostre strade si sono definitivamente separate. Ci lasciò per seguire un’altra chiamata, una ulteriore vocazione, quella missionaria.

Avrà sicuramente portato il suo agire scout anche nello sterminato Brasile, nel suo essere missionario, nella sua concretezza di montanaro; un vero costruttore di amore e carità. Che onore, quale gioia avere incrociato la nostra vita con la sua, aver fatto parte, anche se solo per un breve tratto, del suo cristiano pensiero accogliente.

Francesco Rinzano

Torre Annunziata ha avuto sempre una buona tradizione scoutistica supportata da buoni assistenti Assistenti Ecclesiastici; tra i tanti, però, quello che più ha interpretato e condiviso con noi lo “Spirito Scout” è stato senza dubbio Padre Prospero Vecchione. Ci lasciò per andare in Brasile dove si adoperò con lo stesso spirito per affiancarsi e sostenere persone più sfortunate di noi. L’ultimo giorno, in Italia, ci salutammo intonando il Canto dell’addio. Per gli scout il Canto dell’Addio non è un canto mesto e di rassegnazione; è un canto di speranza che affida a Dio, che Tutto Vede e Può, l’augurio di poterci incontrare un dì. Anche se solo “virtualmente” ho avuto la fortuna d’incontrare Padre Prospero. L’ho incontrato attraverso testi, documenti e articoli che raccontano della sua opera, svolta fino allo stremo delle sue forze, nella cittadina brasiliana di Marilia.

Bruno Orrico

Pensando a Padre Prospero vivida è la memoria del suo bel “faccione” che ispirava serenità, intelligenza, arguzia, amore per il prossimo e i ragazzi. Ricordo il campo estivo di Postiglione, quando domandò a noi riuniti attorno a lui, da attenti discepoli: “Se c’è vento, che faccio di questo bicchiere di plastica vuoto?”. Risposi rapidamente con un gesto: lo capovolsi. Immediatamente lanciò il suo sguardo di affetto e compiacimento, contento di noi discepoli e della nostra capacità di giudizio. A inizio anni 2000 lo contatto a telefono in Brasile: “Padre Prospero vorremmo fare una rimpatriata, la vengo a prendere e poi la riaccompagno”. Risposta: “La mia missione è qui, fino a quando il Signore mi chiamerà. Grazie del pensiero e salutami affettuosamente Alfonso e tutti gli altri scout”.        

In occasione del centenario della nascita di Padre Prospero Vecchione, giovedì 5 novembre 2020, alle ore 18,00, nella Parrocchia S. Giuseppe e S. Teresa in Piazza Cesaro a Torre Annunziata, sarà celebrata una Santa Messa in ricordo dello storico assistente ecclesiastico del Gruppo Scout Torre Annunziata.