A cura della Redazione

Se è vero che la memoria archeologica origina fondamento e motore dello sviluppo dell’economia e del rinnovamento delle coscienze, è altrettanto vero che non bastano solo le “pietre archeologiche” a suscitarli. “Animum debes mutare non caelum”. Raccomandava Seneca, La sua incitazione è stata ripresa (in parte) nella denominazione sociale dell’associazione culturale diretta da Alessandro Mazzarelli che ha messo in campo venerdì 2 febbraio - in collaborazione con la Sesta Municipalità di Napoli - una manifestazione sulla memoria storica, insegnamento dell’artigianato e cucina mediterranea presso la Biblioteca pubblica comunale "Antonio Labriola" di San Giovanni a Teduccio.

Esperti dell’arte, dei beni culturali, insieme ad artigiani, panificatori e vinificatori hanno spiegato a gruppi di ragazzi la magia della produzione artigianale concepita in tempi in cui alla fatica umana si accompagna l’intelligenza dei sistemi produttivi e la marcia in più dall’ambiente naturale della Campania Felix. Ancora oggi i fatti dimostrano che alcuni usi e costumi di epoca romana sono il caposaldo della geografia sociale. Nello stesso tempo, se le nuove tecniche di produzione hanno fatto risparmiare soldi e fatica, sono state parimenti ridefinite in un quadro tradizionale.

Alla fine i modi di vinificare, panificare e costruire recipienti di argilla sono rimasti gli stessi di duemila anni fa riguardo ai tempi, ai modi e al sigillo che vi ha posto la natura. Spiegare queste nozioni a giovani attenti e curiosi, su un territorio della provincia di Napoli che vanta una nobile tradizione operaia, resta uno spettacolo stimolante grazie alla positiva progettualità di accrescere la formazione delle nuove leve produttive destinate ad incrementare la ricchezza di un territorio che un tempo è stato governato dai Romani ed abitato da popolazioni Osche a loro volta eredi di sanniti, etruschi e greci.

Gli economisti hanno chiarito che lo sviluppo è legato all’innovazione che non comporta necessariamente l’emigrazione. Al contrario è necessario, nei momenti di crisi, riconsiderare il valore delle radici al fine di ritrovare l’orientamento e il valore concreto dei progetti di vita.

Il mastro ceramista Antonio Ruggeri di Cerreto Sannita ha spiegato agli studenti, durante il suo laboratorio didattico, che sono serviti 27 giorni per imparare il mestiere, ma ha anche aggiunto che è necessario rinnovarlo giorno per giorno al fine di replicare alle sfide di mercato. Lo stesso ragionamento vale per la produzione di pane e vino, che rappresentano i pilastri della dieta mediterranea. Pane e vino erano alimenti nutrienti alla portata di tutti: poveri e ricchi, padroni e servi. Tanto è vero che Gesù Cristo li fece servire durante l’ultima cena, a fondamento del sacramento dell’Eucarestia dal momento che rappresentavano il nutrimento di un universo (l’area mediterranea) teatro del protagonismo di Pompei, porto di mare al centro dei traffici commerciali dell’Impero Romano che ne reggeva le sorti.

Pompei era un centro vesuviano famoso nella produzione di vino del Vesuvio, esportato col marchio d’origine inciso sugli otri di terracotta, rinvenuti in Egitto come in Medio Oriente e in Asia centrale. Il vino all’epoca veniva barattato con i cereali, che arrivavano abbondanti dalla Sicilia e dagli altri granai del Mediterraneo. A quel commercio partecipavano altre comunità di civiltà similari. I chicchi di grano, mais ed orzo a Pompei come ad Avella e a Castelvenere (antica Veneri) venivano frantumati in farina nelle ville-fattoria dotate di macine trainate da asini (o da servi). La farina di farro e di altra natura era la base della panificazione nella caratteristica forma ad otto spicchi. Alcuni di questi pani (trovati carbonizzati) vengono custoditi come tesori nel laboratorio scientifico del Parco Archeologico di Pompei, esposti all’ammirazione del mondo ed analizzati per fini scientifici.

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