A cura della Redazione

Con un "coup de theatre", che ha colto di sorpresa tutti i dirigenti del Pd, Nicola Zingaretti ha annunciato le dimissioni da segretario del Partito, decisione che dovrà essere ratificata dall'Assemblea nazionale Dem già convocata per il 13 e 14 marzo.

Dopo un primo momento di silenzio, dal partito si è levato un coro di inviti a ripensarci e ritirare le dimissioni: non solo dalla maggioranza ma anche da esponenti della minoranza Pd, da Guerini a Delrio.

Ma secondo i fedelissimi il governatore non avrebbe ad ora intenzione di tornare indietro rispetto a una scelta meditata. L'Assemblea del 13 era nata per trovare una mediazione tra quanti sostengono il segretario e quanti, sia tra le minoranze che tra la maggioranza, chiedevano un congresso. Ora potrebbe diventare molto combattuta, con un vincitore e uno sconfitto, con rischi per la tenuta del Partito e del governo. A metà pomeriggio, sul profilo Facebook di Zingaretti, è apparso un lungo post in cui il segretario attaccava la posizione delle minoranze di Base Riformista (l'area di Guerini e Lotti) e dei Giovani Turchi (quella di Orfini), granitici sulla richiesta del congresso, descrivendole come interessate solo a "poltrone e primarie" proprio mentre "in Italia sta esplodendo la terza ondata" della pandemia. Altro rimprovero viene poi rivolto per la mancanza di "franchezza, collaborazione e solidarietà".

"Mi ha colpito - ha scandito Zingaretti - il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto". Poi l'annuncio del passo indietro: "Visto che il bersaglio sono io, per amore dell'Italia e del partito, non mi resta che fare l'ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L'Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili".

Le dimissioni sono state talmente inaspettate che le prime reazioni sono arrivate dagli altri partiti, a cominciare dal M5s di Luigi Di Maio e Rocco Crimi, fino alla Lega di Matteo Salvini, che hanno espresso il timore che la mossa possa terremotare il governo. Anche nl'ex premier Giuseppe Conte si dice dispiaciuto del passo indietro di colui che definisce "un leader solido e leale".

Dopo le prime fasi di sgomento, nel Pd sono emerse due posizioni: la prima muscolare, che ha chiesto che l'Assemblea respinga le dimissioni di Zingaretti, così da sconfiggere le minoranze interne (così Virginio Merola, Francesco Boccia, Giuseppe Provenzano, Monica Cirinnà, Enrico Rossi, ecc); la seconda timorosa di ripercussioni sulla tenuta del Partito e del governo che ha chiesto allo stesso Zingaretti di ritirare le dimissioni.

Tra questi ultimi i ministri Dario Franceschini e Andrea Orlando, che sostengono il segretario all'interno del Partito, e il titolare della Difesa, Lorenzo Guerini, leader di Base Riformista; e con loro il capogruppo alla Camera Graziano Delrio e ancora, tra i tanti, Debora Serracchiani, Marina Sereni, Andrea De Maria, Matteo Mauri, Anna Rossomando. Il loro auspicio è di trovare un'intesa all'Assemblea per decidere insieme un percorso che porti a un congresso tematico in autunno, senza rimettere in discussione la guida del Partito.

Un passaggio questo necessario come hanno spiegato lo "zingarettiano" Marco Paciotti e Antonio Misiani, dell'area di Orlando: il primo ha sottolineato che vanno "sciolti i nodi politici" all'interno del partito, e il secondo ha insistito su un "vero e proprio percorso costituente" che ridefinisca l'identità del Pd e la sua proposta per il Paese. Una Costituente che anche Giorgio Tonini ha rilanciato. Il resto di Area Riformista resta contrariata nel timore che la mossa del segretario possa bloccare il congresso e anche la riflessione sulla identità del Pd. La domanda che ha rimbalzato in Transatlantico e nelle chat è se Zingaretti sia o meno disposto a ritirare le dimissioni, evitando il redde rationem con le minoranze. Al di là dell'amarezza sul piano personale, anche i più vicini al segretario non si sbilanciano: "La decisione di Nicola Zingaretti mi addolora - ha detto Goffredo Bettini -. Ne comprendo le ragioni. Spero ci sia lo spazio per un ripensamento. Il Pd ha bisogno della sua onestà, passione e intelligenza politica" (ANSA).