A cura della Redazione
Dieci membri del direttivo del Partito Democratico di Pompei hanno rassegnato le dimissioni dall’incarico, senza rinunciare alla tessera di partito. Hanno invitato il segretario cittadino, Vincenzo Mazzetti, a dimettersi, dal momento che la sua sarebbe una gestione priva di “garanzia e di affidabilità”. E’ stato in questo modo sancito il divorzio tra due componenti interne al Pd pompeiano, che fin dal congresso si sono sempre comportate da partiti contrapposti, senza cercare nel dialogo una sintesi tra le loro posizioni. Limitandosi, al contrario, all’ambigua convivenza da “separati in casa” nell’attesa che gli organismi superiori del partito prendessero l’iniziativa di togliere le “castagne bollenti” risolvendo l’anomalia locale che dura da anni, tanto da apparire a tutti un vizio esistenziale. Situazione che le primarie in corso per la leasdership nazionale hanno messo bene in evidenza. Lo scontro diretto tra le due componenti è sulla politica territoriale. La maggioranza del circolo di Pompei (18 presenze in un direttivo di 30 componenti) fino a ieri è stata contraria all’Amministrazione comunale guidata da Claudio D’Alessio. Buona parte di essa sostiene il gruppo consiliare “Unità e Impegno”. La minoranza, al contrario, avalla l’Amministrazione in carica. A questo punto, 10 dirigenti di minoranza hanno detto basta. Luca Alfano, Marisa Boccarato, Angelo Calabrese, Maria Carbone, Maria Rosaria Gallo, Giuseppe Gargiulo, Antonio Milano, Rita Montemarano, Maria Rosaria Senatore, Anna Vaiano hanno apposto la loro firma in calce ad una lunga lettera in cui è stata descritta la crono-storia dei difficili rapporti interni tra le due "fazioni": le promesse non mantenute, le bugie, gli inganni, i tradimenti e così via. Sono i tipici ingredienti dei divorzi della politica all’italiana, che ha finito di stancare la gente tanto che, per esempio, la partecipazione dei pompeiani alle primarie per la guida del governo nazionale non è stata esaltante. Qualcuno a Pompei si è posto la legittima domanda. Ed allora, perché insistono a convivere in uno stesso partito? La risposta è semplice: entrambe le "correnti" ambiscono a gestire il simbolo dell’Ulivo alle prossime elezioni amministrative, convinte che possa continuare ad attrarre i fedelissimi nostalgici delle vecchie ideologie. MARIO CARDONE