A cura della Redazione

Pubblichiamo la recensione di Domenico Orsini del film “Caro Lucio ti scrivo” redatta per “Corriere Spettacolo”.  La pellicola vede come coprotagonista la bravissima attrice torrese Cristina Casale. Il nostro territorio, però, non ha beneficiato della distribuzione del film programmato per una sola settimana in poche sale cinematografiche e nei comuni che ne hanno fatto richiesta. L’auspicio è la sensibilizzazione delle istituzioni locali affinchè si possa ospitare la proiezione anche a Torre Annunziata per consentire ai concittadini di Cristina di gustare la sua straordinaria sapienza espressiva.

Se è vero che le canzoni del Lucio nazionale da sempre accompagnano i nostri viaggi, le nostre giornate, le nostre vite, dopo aver gustato la proiezione di “Caro Lucio ti scrivo”, si fanno spazio nella mente le immagini della coraggiosa pellicola: indipendente, onesta e realizzata con il cuore.

La docu-fiction - come, a parer nostro impropriamente, viene chiamata - è prodotta da Giostra Film e realizzata con il sostegno della Regione Emilia-Romagna Film Commission e con il patrocinio del Comune di Bologna, della Fondazione Lucio Dalla e del Comune Di Comacchio. Il film - e ci sembra più corretto l’appellativo - è figlio del felice incontro di Cristiano Governa e Riccardo Marchesini, il primo autore dell’omonimo spettacolo e co-sceneggiatore del successivo lungometraggio, il secondo regista, tanto della versione teatrale quanto di quella cinematografica, della quale è anche co-sceneggiatore.

A raccontare le proprie storie un succedersi di voci illustri: da una partecipe e fresca Ambra Angiolini a Neri Marcorè, abile interprete, eterno bambino della narrazione, come del nostro schermo (piccolo e grande); da Andrea Roncato e Ottavia Piccolo, partecipi e maturi Anna e Marco, a Grazia Verasano; da Piera degli Esposti… mitica Piera, calda e confortante presenza, storica amica del cantautore, secondo la quale lui meritava l’immortalità, ad un accorato Alessandro Benvenuti, protagonista in voce dell’episodio “L’'anno che verrà”, il quale, convinto di essere lui il “Caro amico” a cui è indirizza la canzone, fa il bilancio di una vita, che rispetto alle previsioni di Lucio lo ha lasciato confuso, stordito… e chissà se poi non troverà soluzioni ascoltando a fondo qualche altro brano di Dalla.

E mentre le voci srotolano emozioni di immaginifici personaggi, figli di penna e pentagramma di quel gran poeta che era Lucio Dalla, ecco che quelle vite vengono alla luce, impresse sullo schermo in tutto il vigore del loro effimero esistere, soave e poetico come un ricordo solo immaginato.

Il pretesto è la storia di Egle Petazzoni (interpretata da una simpatica Federica Fabiani), postina del cantautore, che, aprendo alcune lettere a lui indirizzate ci fa rivivere le storie dei protagonisti delle sue canzoni, uomini e donne che nelle vita reale si specchiano nelle realtà immaginata da Lucio, a cui si rivolgono quasi fosse il proprio “Deus ex machina”, mentre le sue melodie immortali fanno da colonna sonora.

Così ripercorriamo sullo schermo la singolare vita di “Futura”, o la storia di “Meri Luis” (una comunicativa e misurata Rita Colantonio) e del tassista, del regista, del barista e del dentista, suoi improbabili compagni di viaggio con cui riesce insospettabilmente a ritrovarsi e a fermare in un attonito attimo la “… vita che passa accanto e con le mani ti saluta e fa bye bye”. E non possiamo non incontrare “Anna e Marco”, i bravi Stefania Medri e Lorenzo Adorni, che riprendono la loro vicenda dal punto in cui il cantautore l’ha  interrotta: i due si sono sposati e hanno avuto una figlia, la cui esistenza attraversa la società odierna, mentre lei aspetta il suo “Marco” che la faccia felice.

E la narrazione si apre in episodi che svelano la propria natura di Film, dalle tinte allegre e confortanti, di ‘familiare reminiscenza scoliana’, com’è per “Come è profondo il mare”, che racconta la vita di una famiglia e ci riporta a quella di una città, Bologna, e di un paese e di un momento storico, disegnati con magistrale efficacia dalla canzone di Dalla che, come solo i grandi poeti sanno fare, ci permette di balzare dal particolare all’universale.

Di grande impatto e di sapore ‘antico’, i chiaroscuri nebbiosi, quasi di un ‘neo-neorealismo del terzo millennio’, de “La casa in riva al mare”, che conquista letteralmente lo spettatore, alchimia perfetta di scrittura, fotografia (firmata dal bravissimo Salvatore Varbaro) ed efficacia interpretativa. Maria, pescivendola, malconcia nell’aspetto e nell’animo, vive la sua grigia esistenza in un grigio mondo fatto di lavoro e di cupo torpore psicologico, fin quando, quasi involontariamente, comincia ad imbastire una storia con un detenuto che fa capolino alla finestra di una prigione, entrambi rinchiusi in prigioni senza scampo, ognuno dietro le proprie sbarre di solitudine. Nasce così un amore fatto di sguardi e di pochi gesti d’intesa. Un giorno Maria non vedrà più l’amato dietro le sbarre della solita finestra, e, sconsolata, non lo troverà neanche nel carcere in cui andrà a cercarlo, scoprendo che è stato liberato ed è andato via, senza lasciare tracce, senza tener fede al muto e palpitante pegno d’amore. Ma la passione, intangibile passione, pur nel suo volo arrestato, continua a planare, accompagnando la donna lungo l’intero arco della sua vita. Maria è magistralmente interpretata da una magnetica e ‘magnaniana’ Cristina Casale, unica attrice campana in un cast settentrionale (punta d’orgoglio per noi conterranei), che dona al personaggio l’intensità di sguardi profondi e comunicativi, la sapienza di una gestualità intensa e misurata, la profondità di una voce accoratamente orgogliosa.

Insomma, un plauso a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di un film che ha tanti numeri da giocare e che ha saputo far tesoro della sinergia di un cast tecnico e artistico di ottima qualità, capitanati dal regista Riccardo Marchesini, che - nota romantica - nei titoli di coda fa precedere il suo ruolo di montatore a quello di regista, pensiamo proprio per le sue origini di montatore, che presuppongono dedizione e sensibilità per un lavoro di  taglia e cuci che può fare il successo di una pellicola.

Certo il film non nasconde qualche neo, come l’insistere qua e là su panoramiche di strade o luoghi (ma in fondo si presenta come una docu-fiction) o anche per qualche eccesso di trucco (giusto qualcuno!), ma più di tutto per la distribuzione, che lo ha visto in programma per una sola settimana, a macchia di leopardo in tutta Italia! E nella speranza di poter rivedere il film nelle sale, lasciamo che risuonino le note positive che la pellicola evoca… che mi spingono ad ascoltare Lucio, ancora una volta, e mentre scrivo viaggio con la mente e scorrono immagini nuove che mi riscaldano il cuore.

DOMENICO ORSINI

(fonte "Corriere Spettacolo")