A cura della Redazione

Anche “La giornata della memoria” si è dovuta piegare alle restrizioni anti Covid. Il primo evento organizzato da Anna Vitiello nelle vesti di nuovo assessore alla Cultura del Comune di Torre Annunziata, è stato seguito dai cittadini in diretta Facebook questa mattina sulla pagina istituzionale dello stesso comune oplontino.

Letture, scritti, testimonianze, piece teatrali con i contributi dell’attore-regista-autore Angelo Pepe, dell’artista Nello Collaro, della compagnia teatrale “Hirondelle”. La collega Titti D’Amelio ha coordinato gli interventi di una intensa mattinata all’insegna della “cultura della memoria” realizzata dall’aula magna del Liceo Artistico “Giorgio de Chirico” di Torre Annunziata.

Emblematico il breve monologo scritto da Felicio Izzo, dirigente scolastico del de Chirico, che sottolinea: «Ho immaginato un rastrellamento. Dei soldati che portano via o uccidono un uomo nella sua casa sul mare. E il mare potrebbe essere quello nostro, della Marina del Sole. La guerra non è mai finita. E nemmeno la barbarie». Vi riproponiamo il testo recitato questa mattina, con la consueta maestria, da Angelo Pepe.

Rastrellamento sulla Marina del Sole

Solo un rumore discreto. Come di vento sugli arbusti. Appena più brusco. Ma lui continuò a leggere. Si impose di continuare. Per non guardare ciò che già sapeva e che, in fondo, aspettava. Solo quando si fecero intere le figure sull’orlo del terrapieno di confine distolse lo sguardo da parole di cui aveva ormai definitivamente smesso di comprendere il senso.

Girò il capo. In un attimo cessò il silenzio e divenne vero ciò che aveva sempre immaginato. L’aveva tante volte anticipata la paura che nemmeno la sentì, in quel momento, nella realtà di ciò che accadeva. Aveva sempre saputo, pianificandone, con lucido rigore, le sequenze, che sarebbe stato inutile urlare o implorare e tantomeno fuggire. E per andare dove, poi? A rinchiudersi in casa? A risalire il fianco della collina? E per arrivare dove? Sarebbe stato tutto così scomposto. Disordinato. Frantumato. Volgare. Sì, penso proprio così: “Volgare!”.

Poi li vide avvicinarsi, tutti. Erano sei. Nel silenzio che finiva sentì, con lo sguardo, il peso freddo delle armi. Previde i colpi, le botte, i pugni, gli strattoni, le urla. Nessuna sorpresa per le teste rasate, senza elmetti, ma nemmeno berretti. Non lo aveva mai chiarito questo particolare nelle sue anticipazioni. E lo accolse come un fatto normale. Naturale come un volto o un naso. Anche il suo che gli doleva.

C’era il mare alle loro spalle. Questo lo trattenne dal simulare, anche solo come istinto, un tentativo di fuga: morire senza avere il mare negli occhi. Fu il calore del sangue che gli scorreva dal labbro, dalla testa colpita a dargli il coraggio del dolore che non affogava i pensieri.

Goffamente con i soldati che ridevano decise di girarsi, senza fretta, con la calma governata dal respiro trattenuto. Prese a salire le scale che portavano al terrazzino davanti all’ingresso di casa. Le ultime cose che sentì furono ancora risate e un improvviso bruciore in una spalla. Poi un altro e un altro ancora. Forse cadde. Di certo si trascinò aggrappandosi alle siepi di rosmarino, fino al lato corto del terrazzo. Sentì l’umido del fiato che il pavimento gli restituiva e capì che era veramente caduto. Tra le inferriate del cancelletto che dava sull’orto, rivide il mare. Dall’altra parte della costa. Solo che era troppo distante. Laggiù. Gli sembrò troppo lontano perché valesse la pena continuare a guardarlo. Così smise di vederlo.