A cura della Redazione
La tentazione è di puntare il dito su Roma: è là che hanno deciso di abbandonarci ancora una volta, di negarci l’ultima occasione, di cancellare la Zona Franca Urbana alla quale avevamo legato speranze e programmi. Colpa della crisi monetaria, dell’euro debole, dell’effetto Grecia: realtà infinitamente più grandi del micro mondo nel quale viviamo, sette chilometri quadrati che sono un condensato di problemi spesso irrisolvibili. Avevamo accettato la sfida della scommessa: puntare su noi stessi, su una vocazione imprenditoriale tutta da costruire per rivalorizzare una fetta di città che sembra abbandonata e che racchiude la storia di Torre Annunziata, le sue radici. Tremonti non ha concesso sconti, non ha tollerato eccezioni, soprattutto non ha riconosciuto altre emergenze oltre quella nazionale. Siamo troppo lontani da Roma, il senso di questa lontananza si tocca in occasioni come questa, quando avresti avuto bisogno di qualcuno che nel Palazzo avesse rappresentato le tue ragioni. Tremonti ha già risposto alle proteste: per il Sud esiste la sburocratizzazione, l’opportunità di richieste semplificate per aprire nuove iniziative: trenta giorni e tutto risolto. Risolto cosa? Lo spirito d’impresa non puoi inventartelo, a maggior ragione nei periodi di crisi. Le agevolazioni previste e la defiscalizzazione avrebbero costituito uno stimolo e un vantaggio futuro anche per lo Stato: se crei valore poi ne guadagnerà anche il fisco. Così, restando nella povertà di reddito e di intraprendenza, si è tutti fermi nella situazione peggiore: l’immobilismo. Più o meno la nostra condizione permanente. Avevamo confidato che potesse finalmente mutare. Un’illusione travolta dalla macroeconomia. E che cosa accade all’interno dei nostri piccoli confini? Come se nulla fosse accaduto, come se la stretta del Governo non ci avesse toccato, si discute delle alleanze, degli apparentamenti vietati, delle vecchie intese da riprendere. Tutto normale, tutto legittimo se fossimo in un paese normale. E invece non possiamo fingere, non possiamo sollevare il tappeto e buttar tutto sotto. Facciamo pulizia almeno degli equivoci. Solo così troveremo la forza per gridare anche la nostra indignazione per l’ultima speranza negata. Poco più di duecento chilometri ci separano da Roma, ma la Capitale non è mai apparsa così lontana. MASSIMO CORCIONE