A cura della Redazione
Vent’anni dopo la Bolognina (che era la sezione emiliana del PCI in cui Achille Occhetto avviò la sofferta liquidazione del PCI), Valdo Spini ripercorre in un libro, pubblicato da Rubbettino, un periodo convulso di grandi trasformazioni della politica italiana. Fiorentino, figlio del grande storico Giorgio e storico lui stesso, ma soprattutto a lungo deputato del PSI - di cui arrivò ad essere vicesegretario con Craxi, collocandosi nella corrente lombardiana - l’autore passò poi ai Democratici di Sinistra e anche lì fu un importante dirigente. Da ultimo, ha disputato senza successo a Matteo Renzi la carica di sindaco della sua città. Oggi, mai entrato nel Partito Democratico, ripercorre con impietosità critica una storia che è stata però anche sua, mostrando gli errori di molte “impazienze” (da quella dello stesso Occhetto a quella di D’Alema, da quella di Fassino a quella di Veltroni), per concludere che la sinistra italiana manca di un profilo di rigore e di modernità riformista, soprattutto per avere privilegiato il filone del cabotaggio affannoso di breve periodo e di corte vedute, piuttosto che un franco dibattito tra le sue anime principali, quella già comunista e quella appunto socialista, risultando semmai i Democratici gli eredi aggiornati di altre radici, quelle catto-comuniste. Non è accademica, l’ultima fatica di Spini, che invita ad un dibattito sulle interpretazioni di questa lunga fase, ormai consegnate a diversi libri memorialistici e - più operativamente - ad aprire una Costituente di forze, che finalmente discuta dei problemi sul piano del programma culturale e non del puro potere e si confronti così con i fenomeni e i personaggi emergenti (la nuova soggettività degli studenti, angosciati dalla mancanza di futuro; la necessità perciò di rilanciare lo sviluppo produttivo in un’età ipertecnologica e di crisi della fabbrica tradizionale; l’esigenza di dialogare con un sindacato alle prese con le idee di Marchionne e - nel settore pubblico - di Brunetta; il prepotente avanzare sulla scena nazionale di Nichi Vendola, con il suo linguaggio immaginifico; la galassia di un radicalismo goscista oggi fuori dalle Camere; il rapporto col mondo cattolico, in un mondo in cui la bioetica e i progressi scientifici spingono ad interrogarsi sul senso della laicità). Il volume è stato presentato a Torre Annunziata martedì 21 dicembre, a “Nonsolocaffé”, su iniziativa dei Riformisti per il Mezzogiorno. Con l’autore ne hanno discusso Enzo Amendola, segretario regionale dei Democratici e Carmine Pinto, storico dell’età contemporanea nell’università di Salerno. Entrambi giovani, con accenti e da prospettive diverse, essi hanno largamente convenuto col politico toscano di lungo corso: occorrerebbe insomma nel nostro riformismo l’iniezione di energie ideali e umane fresche, un nuovo inizio, più attento all’analisi di lungo periodo e a ricostruire rapporti con la società italiana, meno ossessionato da Berlusconi (in ogni caso, tutt’altro che una meteora da sconfiggere coi processi) e che riconsegni l’impulso del dibattito e della proposta alle forze classiche (ma ovviamente da rinnovare, anche affidandosi a una generazione meno usurata, ma senza il giovanilismo dei “rottamatori”) della sinistra, invece che andare a rimorchio del Terzo Polo e dei suoi leaders. Al vostro commentatore (per essere chiari amico di Spini da trent’anni e come lui di origine socialista lombardiana) è sembrato che il senso del dibattito possa riassumersi nel noto borbottio incontentabile di un altro “maledetto toscano”, come fu Gino Bartali: «Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare!». SALVATORE PRISCO (nella foto, da sinistra: Enzo Amendola, Maria Lionelli, Valdo Spini e Carmine Pinto)