A cura della Redazione

Maxi inchiesta della DDA di Bari denominata "Levante", smantellate due organizzazioni nelle quali operavano anche insospettabili. Sono 75 le misure cautelari emesse dal Gip del Tribunale barese, sequestrati beni per oltre 18 milioni di euro. Le ipotesi di reato sono di associazione per delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata alle frodi fiscali, al riciclaggio e all’autoriciclaggio dei relativi proventi nonché al trasferimento fraudolento di valori, al “contrabbando” di prodotti energetici, alle estorsioni, al traffico di sostanze stupefacenti e alla detenzione illegale di armi.

Sono, complessivamente, 86 le persone indagate tra imprenditori, professionisti e pubblici ufficiali. 

Più di 500 le donne e gli uomini della DIA e della Guardia di Finanza che stanno eseguento in diverse regioni italiane - Puglia, Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto - i provvedimenti restrittivi. In carcere 15 indagati, per altri 44 disposti i domiciliari, 14 sono destinatari dell'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, 2, invece, di misure interdittive.

L’esecuzione dell’ordinanza costituisce l’epilogo di un’articolata attività di indagine svolta dalla D.I.A. e dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Bari - su delega della Direzione Distrettuale Antimafia - attraverso l’incrocio dei dati risultanti da segnalazioni di operazioni sospette, dalle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, dalle escussioni di persone informate sui fatti e di collaboratori di giustizia, dalla documentazione e dagli smartphone sottoposti a sequestro a seguito delle perquisizioni locali eseguite, nonché dall’attività dinamica di osservazione, controllo e pedinamento.

Secondo l’impostazione accusatoria accolta dal G.I.P. presso il Tribunale di Bari, allo stato le ipotesi di reato contestate riguardano, innanzitutto, le presunte condotte illecite di soggetti organici a una prima associazione criminale attiva nel capoluogo pugliese e in Lombardia, la cui operatività è stata disvelata dalle attività investigative effettuate dalla D.I.A.. Dalle indagini, difatti, è emerso che, attraverso un sistema di aziende consorziate, l’organizzazione criminale avrebbe sviluppato un volume di affari illecito pari a circa 170 milioni di euro mediante ingenti frodi fiscali poste in essere attraverso l’indicazione di crediti IVA fittizi scaturenti da inesistenti operazioni passive indicate nelle dichiarazioni fiscali in assenza delle relative fatture.

Tali crediti, asseverati da professionisti compiacenti, sarebbero stati poi utilizzati dal sodalizio - per il tramite di prestanome - per compensare poste attive o i versamenti relativi ai contributi previdenziali e assistenziali, alle ritenute fiscali e alle altre somme dovute. I guadagni per i membri del consorzio sarebbero risultati enormi, perché attraverso il meccanismo della creazione di crediti IVA fittizi non avrebbero versato le imposte nonché i contributi previdenziali e assistenziali dovuti.

I proventi così illecitamente realizzati sarebbero, quindi, stati reimmessi nel circuito economico attraverso articolate operazioni di riciclaggio. Proprio nella fase della “monetizzazione” dei proventi illeciti sarebbe emerso il coinvolgimento della criminalità organizzata barese, in grado di reclutare numerosissimi “fiduciari” a cui intestare carte di credito con le quali drenare, secondo una tempistica prestabilita, le provviste illecitamente conseguite dal sodalizio per il successivo reinvestimento anche nel narcotraffico. In tale filone investigativo è altresì emersa una presunta vicenda corruttiva coinvolgente un colonnello della Guardia di Finanza in servizio a Roma (indagato) che - in cambio di utilità economiche e di altra natura - avrebbe fatto eseguire abusivi accessi al sistema informatico, strumentali ad acquisire notizie da comunicare a uno dei promotori dell’organizzazione criminale.

Le ulteriori indagini delegate al G.I.C.O. e al II Gruppo Tutela Entrate del Nucleo PEF Bari hanno consentito di accertare la presunta esistenza di un altro sodalizio criminale di carattere transnazionale, con base operativa in provincia di Bari, e attivo nell’illecita commercializzazione di oli lubrificanti, in evasione delle accise dovute all’Erario. n tale secondo filone investigativo sono state ricostruite una pluralità di intestazioni fittizie di beni da parte di un esponente di spicco del clan Parisi di Bari in favore di terzi prestanome, scevri da precedenti di polizia e penali, al fine di eludere l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale da cui era stato in precedenza oggetto. Ciò sarebbe avvenuto, stando alle indagini, mediante la collaborazione professionale di un ragioniere commercialista e di tre avvocati con studi a Bari e in provincia, tutti coinvolti nell'inchiesta.

Numerosi sono stati i riscontri operativi eseguiti, durante le indagini, dalla D.I.A. e dal Nucleo PEF Bari che hanno permesso di sottoporre a sequestro circa 186 kg di sostanza stupefacente (tra cocaina e hashish), oltre 4,4 milioni di euro in contanti abilmente occultati nelle intercapedini artatamente ricavate nella muratura delle abitazioni nella disponibilità dei vertici dei sodalizi, nonché 43.000 litri di miscele lubrificanti destinati all’autotrazione in evasione delle accise.

Oltre alle misure cautelari personali, sono in corso di esecuzione sequestri di beni, tra i quali abitazioni di lusso, autovetture di grossa cilindrata, denaro contante, disponibilità finanziarie e compendi aziendali, del valore complessivo di oltre 18 milioni di euro.