A cura della Redazione

I Carabinieri di Monza hanno disarticolato un’associazione per delinquere finalizzata al traffico nazionale ed internazionale di sostanze stupefacenti ed armi, riciclaggio e autoriciclaggio. Oltre 200 i capi di umputazione contestati a 30 indagati, 26 italiani e 4 marocchini.

La maxi-operazione è stata coordinata dalla DDA di Milano, e condotta in varie regioni italiane: Monza Brianza, Milano, Como, Pavia, Reggio Calabria, Catanzaro, Messina, Palermo, Trieste e Udine.

Lo stupefacente proveniva dal Sud America (prevalentemente dall’Ecuador) e dalla Spagna ed approdava celato nei container nel porto calabrese di Gioia Tauro per giungere in buona parte a Milano. L’associazione aveva la base operativa nel capoluogo lombardo, dove uno dei principali indagati (una sorta di broker) si occupava di mantenere tutte le relazioni per concludere gli affari di droga, tenendosi comunque in contatto con i complici calabresi indispensabili per l’estrazione in modo “sicuro” della “merce” dal porto.

L’inchiesta ha consentito di ricostruire innumerevoli compravendite di stupefacenti per un totale di 3.051 kg di hashish (del valore alla vendita di circa 12 milioni di euro) e 374 kg cocaina (circa 11 milioni di euro il ricavo che si sarebbe ottenuto dallo spaccio).

Emerso inoltre un illecito commercio di armi da fuoco comuni e da guerra (mitragliette UZI, fucili da assalto AK47, Colt M16, pistole Glock e Beretta, nonché bazooka e bombe a mano MK2 “ananas”). Gli indagati acquistavano le armi da un fornitore monzese, condannato all’ergastolo per omicidio aggravato ed associazione mafiosa, ma beneficiante di periodici permessi premio durante i quali sviluppava le intermediazioni per le armi.

I sodali comunicavano attraverso chet criptate (il nome dell'operazione di Polizia è proprio Crypto), scambiandosi messaggi, foto e video. Il tutto, decriptato nel corso di una pregressa operazione internazionale di Polizia coordinata da Europol che ne aveva abbattuto le barriere di codifica informatica.

L’analisi della grande quantità di informazioni ottenute - particolarmente utili perché caratterizzate da una forma estremamente esplicita -, incrociate con le intercettazioni e le osservazioni sul terreno raccolte da parte dei Carabinieri di Monza, ha permesso quindi di arricchire ed irrobustire il quadro accusatorio.

In particolare gli indagati, convinti dell’inespugnabilità del mezzo di comunicazione criptato, si esprimevano con i loro telefoni “sicuri” in forma esplicita, condividendo fotografie dei pacchi di droga e delle armi trafficate, dettagli di occultamento nei container e contrattando attraverso la messaggistica i prezzi delle vendite. Non mancavano poi di complimentarsi e festeggiare al buon esito dei loro traffici.

Parte degli ingenti introiti derivanti dal traffico di stupefacenti venivano infine reinvestiti in orologi di lusso presso una nota gioielleria del centro di Milano, in immobili residenziali, attività commerciali e, ovviamente, nell'acquisto di nuovi carichi di droga.