A cura della Redazione

Personale della Squadra Mobile di Napoli e del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Castello di Cisterna hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa, nell’ambito delle indagini svolte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, dal GIP del Tribunale di Napoli nei confronti di Michele Puzio, già condannato in primo grado per il suo ruolo di affiliato del clan Moccia di Afragola. Ora l'uomo risulta gravemente indiziato per il reato di concorso nell’omicidio di Immacolata Capone, avvebuto a Sant’Antimo il 17 marzo 2004, aggravato dalla finalità di agevolazione di associazione di stampo camorristico e dei correlati reati in materia di porto d’armi.

La vittima, all’epoca, svolgeva l’attività di imprenditrice nel campo del movimento terra nei comuni di Casoria ed Afragola.

La donna, nel corso della sua attività imprenditoriale, aveva assunto - per gli inquirenti - il ruolo di fiduciaria degli interessi economici del clan Moccia, non disdegnando di stringere, nel periodo antecedente l’omicidio, rapporti economici con altre organizzazioni camorristiche.

L’omicidio, secondo la ricostruzione accusatoria, è da ascrivere alla volontà del clan di “punire” la donna, perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito Giorgio Salierno, a sua volta fiduciario dei vertici dell’organizzazione, ed al fine di impedire il rafforzamento dei legami economici fra l’attività imprenditoriale facente capo alla Capone e clan diversi dal clan Moccia.

Il ruolo di killer al Puzio, emerso nel corso delle indagini, trova conferma, altresì, negli esiti degli accertamenti di natura scientifica.

Il killer l, durante le fasi concitate dell’omicidio, caratterizzate da un disperato tentativo di fuga della vittima all’interno di un esercizio commerciale, aveva infatti perso un cappellino che indossava al momento dell’esecuzione e che era stato sottoposto a sequestro nelle immediate adiacenze del luogo del delitto.

A distanza di anni, ed anche grazie al progresso della scienza, è emersa, a seguito di investigazioni scientifiche condotte nel contraddittorio con la difesa ed il consulente dell’indagato, la presenza proprio del DNA del presunto omicida su più punti del cappellino.

Sono stati svolti accertamenti anche sulla esistenza di un potenziale alibi a favore dell’indagato, smentito dagli accertamenti specificatamente svolti in proposito.