A cura della Redazione

Sono 59 le misure cautelari emesse dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Procura della Repubblica, guidata da Giovanni Melillo, eseguite dai carabinieri del ROS e dal GICo della Guardia di Finanza nell'ambito di una inchiesta che ha portato alla decapitazione della potente organizzazione camorristica rappresentata dal clan Moccia, attivo nell'area nord di Napoli e in particolare tra Casoria e Afragola.

Gli indagati, a vario titolo, sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione, favoreggiamento.

Tutti i reati contestati sono aggravati dalla finalità di agevolare il gruppo criminale.

In carcere finiscono 36 persone, 16 ai domiciliari, per altre 7 disposto il divieto temporaneo dell'esercizio dell'attività di impresa. Sequestrati beni per circa 150 milioni di euro.

L'inchiesta ha disvelato l'esistenza e l'operatività del sodalizio criminale capeggiato - per gli inquirenti - dai fratelli Angelo, Luigi e Antonio Moccia e dal loro cognato Filippo Iazzetta. Sebbene già detenuti, e Angelo e Luigi Moccia trasferitisi a Roma da tempo, avrebbero continuato ad impartire ordini agli affiliati ai diversi livelli gerarchici dell'organizzazione, dall'ala miltare del clan - articolata in diversi sottogruppi territoriali - per la commissione di specifici reati, agli imprenditori conniventi, in particolare attivi nel settore del recupero degli olii esausti di origine animale/vegetale di tipo alimentare e degli scarti di macellazione. 

Le mani dei Moccia arrivavano poi anche a gestire i grandi appalti ferroviari e dell'alta velocità, impartendo direttive agli imprenditori e fornendo loro provviste di denaro derivanti dall'accumulazione illecita, nel corso del tempo, di ingenti capitali.