A cura di Luisa Raia

"Questo libro è un atto d'amore verso la mia città di adozione, nella quale vivo da oltre cinquantacinque anni, ma anche un omaggio alla memoria di mio padre Giuseppe nato a Torre Annunziata".

Così il professore Salvatore Cardone, giornalista e storico locale, spiega il motivo per cui ha scritto il romanzo "Capo Oncino".                

Perché hai scelto questo titolo?

«Capo Oncino nell' immaginario collettivo di moltissimi Torresi è un "luogo del cuore", perché è un angolo caratteristico della nostra costa, anche se nel romanzo rappresenta simbolicamente "una parte per il tutto" e quindi la città di Torre Annunziata».               

C'è anche qualche altra motivazione?

«Sì, ho abitato in un palazzo vicino a Capo Oncino per tredici anni e ho ancora nostalgia di quello spettacolare panorama che si vedeva sulla villa Filangieri, su Capri e sulla penisola sorrentina».                        

Nel sottotitolo del romanzo hai voluto aggiungere ‘la spiaggia dell'amore e il mare del paradiso...’.

«Qui ho fatto svolgere la scena d'amore tra Domenico Orsini e Francesca Atripaldi, e qui a Capo Oncino sono state disperse le ceneri, per sua volontà, di una grande scrittrice torrese, Maria Orsini, in quel mare che lei considerava il suo paradiso».                                         

Nella quarta di copertina, hai riportato la foto di Capo Oncino come era oltre un secolo fa...".

«Lì c'era il lido Nunziante, poi assorbito dal Lido Azzurro, dove morirono nel 1906 il famoso matematico Ernesto Cesàro e il giovane figlio Manlio; lì ci sono le terme vesuviane Nunziante, scoperte circa due secoli fa». 

Tu poi aggiungi "Storia romanzata di una città vesuviana"

«Perché racconto sia in modo reale che fantasioso tanti episodi significativi della storia di Torre Annunziata, dalla fine del Settecento alla seconda metà del Novecento, oltre a citare tanti personaggi famosi nati o vissuti nella nostra città».

Poi parli di famiglie di pastai...

«Sì, di alcuni di quei pastai che hanno rappresentato l'epopea dell'Arte Bianca a Torre Annunziata, gli Orsini, i Manzo, i Voiello, i De Laurentiis, i Gallo, i Setaro».       

Se non sbaglio citi anche i Cuomo, quelli di "Pasta Storta".

«Certo, è il pastificio artigianale, specializzato nella produzione di pasta fresca, il più giovane opificio nato a Torre Annunziata, anche se operativo dal 1959, quando iniziò questa attività mio zio Vincenzo Cardone con la moglie Anna Cira Zingone, poi continuata dalla figlia Lina con il marito Luigi Cuomo e i figli Salvatore e Vincenzo».

Quindi anche la tua è una famiglia di pastai.                  

«Siamo una famiglia di pastai da cinque generazioni, non è un caso che il romanzo inizia da un mio progenitore, Giuseppe, semolaro e poi pastaio, venuto fin dall'infanzia da Cava de' Tirreni a Torre Annunziata alla fine del Settecento. Dopo di lui altri suoi figli hanno continuato questo lavoro fino a mio nonno Salvatore con il fratello Pietro, mio padre Giuseppe con i fratelli Raffaele e Vincenzo, tutti operai nel pastificio Gallo».

Quindi non racconti solamente la storia degli imprenditori pastai ma anche dei loro lavoratori...

«Senza tante decine di migliaia di mugnai e pastai, nel corso di circa due secoli, la storia dell'Arte Bianca sarebbe stata impossibile. Parlo dei loro sacrifici, delle precarie condizioni di lavoro e di vita, dei miseri salari, della lotta per i loro diritti e dei sindacalisti che li hanno aiutati come ad esempio Gino Alfani, poi sindaco e deputato di Torre Annunziata».

A breve presenterai il romanzo...

«Sì, nelle terme vesuviane Nunziante, sabato 24 maggio, alle ore 10,30 e sarà abbinato ad un' iniziativa di solidarietà verso i più bisognosi».

(La foto della copertina del romanzo, fronte e retro, è a cura di Ciro Servillo)