A cura della Redazione

Dal 19 al 21 luglio va in scena “Eracle” al Teatro Grande di Pompei, quarto ed ultimo appuntamento della rassegna artistica Pompeii Theatrum Mundi, realizzata per la stagione estiva 2018 nell’ambito della collaborazione fra il Teatro Stabile di Napoli e il Teatro Nazionale ed il Parco Archeologico di Pompei.

Da giovedì 19 a sabato 21 luglio è in programma “Eracle” di Euripide, per la regia di Emma Dante, prodotto dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico (Inda) Fondazione onlus. “Eracle” è un dramma appassionante e struggente, ricco di colpi di scena e di intenso patetismo. È il dramma della follia che colpisce Eracle, l’eroe che per antonomasia si è battuto per il bene civilizzatore e benefattore dell’umanità.

«Mi interessa - ha dichiarato Emma Dante - cercare la femminilità, la fragilità, dentro un corpo maschile muscoloso e arrogante. L’eroe greco ostenta la sua forza, si mette a tu per tu con gli dei, esalta la sua potenza con l’ambizione di diventare un dio, sempre nel suo cuore, nella sua mente c’è la competizione col dio. Al contrario la donna che aspetta, subisce e si sacrifica insieme ai figli prendendo su di sé le colpe dei padri e dei mariti». Si tratta di una bell’opera della regista palermitana, che intende indagare il potere al femminile.

«Cosa succede se la femmina incarna l’eroe, rappresentando la sua potenza e la sua fragilità, con l’armonia nei fianchi e la durezza nello sguardo?», spiega ancora la regista. Nell’opera sarà indagata la faccia del potere per verificare il luogo comune. «Se è vero che è una cosa cui ambiscono solo gli uomini. E' una prerogativa maschile, legata a muscoli e arroganza o può avere a che fare con la fragilità?»

L’esperimento della Dante si concretizza poi nell’inversione del canone teatro greco, dove gli uomini interpretavano ruoli da donna, affidando, al contrario, a donne ruoli da uomini. «Eracle - sottolinea alla fine la regista - è un testo che parla molto della morte, e nel mio teatro c’è sempre un interrogarsi sul vivere e sullo scomparire. Dunque avverto profonda affinità con questo linguaggio emerso nel 420-415 a. C.».

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