A cura della Redazione

«Una delusione totale. Mi aspettavo che una persona che ammazza una donna, per di più l'ex moglie, dovesse marcire in galera: ci rendiamo conto di quanti femminicidi vengono commessi? E' questo il deterrente? Una vita non può valere vent'anni, ne vale almeno cento». A parlare è Assunta Mennella, sorella di Mariarca, la 38enne di Torre del Greco uccisa dall'ex marito nel luglio 2017 con diverse coltellate alla schiena nella casa in cui abitava con i due figli, a Musile di Piave, nel Veneziano.

Ieri è arrivata la sentenza di primo grado emessa dal giudice Massimo Vicinanza. L'accusa aveva chiesto l'ergastolo. L'imputato, Antonio Ascione, 44enne corallino, era reo confesso e si è avvalso del rito abbreviato. Così la pena, in realtà di 30 anni, è stata ridotta a 20 (previsto infatti un terzo di sconto).

«Una pena così leggera non sta al mondo - prosegue Assunta -. L'ergastolo dovevano dargli. Siamo tutti profondamente amareggiati, indignati e arrabbiati e aspettiamo a calmarci un po' prima di informare i miei nipoti, a cui il padre ha già rovinato la vita. Non capiamo come non abbiano potuto riconoscere la premeditazione: c'erano anche i messaggi sul telefono di mia nipote che provavano come l'assassino avesse minacciato di morte Mariarca con un coltello pochi giorni prima. Siamo molto deluse dalla giustizia italiana. Mia sorella non ha avuto giustizia».

Il giudice non ha riconosciuto due delle aggravanti contestate dal Sostituto Procuratore all'omicida: i futili motivi e, soprattutto, la premeditazione. Disposta invece una provvisionale per i familiari della vittima :50mila euro per i due figli minori di Mariarca, 30mila per la mamma e 20mila per ciascuno dei cinque fratelli.

Soddisfatto il difensore dell'assassino, l'avvocato Giorgio Pietramala, che peraltro ha annunciato un possibile ricorso in Appello. «Il giudice ha capito che si è trattato del raptus di un momento, ha compreso il dramma che ha vissuto anche quest'uomo, oltre a quello dei familiari della vittima, e ha escluso la premeditazione, come abbiamo sempre sostenuto, e anche l'aggravante dei futili motivi, la gelosia. Ascione alla lettura della sentenza era sollevato: rischiava l'ergastolo».

Amaro invece il commento dell'avvocato di parte civile, prof. Alberto Berardi, che assiste la famiglia Mennella in collaborazione con Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini. «E' una sentenza che lascia l'amaro in bocca soprattutto per l'aspetto fondamentale della premeditazione, a cui tenevamo particolarmente e per la quale abbiamo tanto lavorato e ci siamo battuti a fondo ha detto il legale -. Restiamo convinti che ci fossero tutti gli elementi per riconoscerla e che si è trattato di un gesto non estemporaneo ma meditato nel tempo. Era giusto soprattutto nei confronti della famiglia che fosse riconosciuto che non si è trattato di un delitto d'impeto. Tra novanta giorni, comunque, leggeremo le motivazioni e poi decideremo il da farsi. Sarebbero stati più giusti trent'anni, che poi sono quelli a cui l'omicida sarebbe stato condannato senza l'effetto premiale del rito abbreviato: la “pena giuridica” sono trent'anni. E invece, per un delitto peraltro odioso che ha distrutto una famiglia e ha lasciato senza genitori due figli minori, Ascione se ne esce con una pena assolutamente inadeguata. E' una delle storture del sistema».

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