A cura della Redazione
C’è qualcosa di più sublime e struggente di un arpeggio che si inerpica attraverso il tendersi ritmico di sei corde, sul silenzio che lo circonda? E’ possibile immaginare ad oggi, linguaggio più immediato, diretto ed efficace di quello musicale per entrare in comunicazione con se stessi e sorprendersi, piacevolmente sgomenti, del fatto che sensazioni e ricordi non invecchino? Indubbiamente la vera essenza della musica, la sua missione più alta non si esaurisce esclusivamente in questo compito. E tuttavia l’offrire in quest’ansia furente che tutto prende e trascina, la consolazione di cogliersi alla riscoperta di sé, di tornare a sentirsi fibra docile dell’universo, ne costituisce certamente uno dei tratti fondamentali. Una funzione consolatoria e rigeneratrice connaturata al linguaggio musicale che hanno potuto cogliere quanti tra i presenti al concerto del quarto appuntamento di “Pentagramma Oplontino”, la rassegna di musica classica organizzata dal Circolo Professionisti e Artisti della nostra città, si sono lasciati totalmente pervadere dalle composizioni eseguite. Ospite di eccezione il chitarrista classico Enrique Muñoz, musicista di niente affatto usurpata fama internazionale, venuto espressamente dalla Spagna per la serata torrese. Alte le aspettative dei presenti per l’indubbia fascinazione evocativa generata dall’accoppiata chitarra terra di Spagna, con l’immaginazione portata immediatamente a visualizzare cruente corride, versi di Garcia Lorca e passi di flamenco. Nel nostro immaginario collettivo l’identità tra i due elementi è pressoché perfetta, così come nota è la proverbiale capacità dei musicisti iberici di sapere esprimere attraverso questo strumento colori e atmosfere della terra di Spagna. Ma Muñoz, deliberatamente, poco ha concesso al folclore steorotipato per quanto nelle aspettative dei più, e ha proposto un percorso meno legato ad abusate sonorità e proprio per questo più impegnativo e difficile. Armonie dolcissime, fluenti e ammaliatrici, inframezzate da sonorità più ardite, taglienti, secche come il frangersi di sterpi secchi. Variazioni tematiche non facilissime a cogliersi, di grande impegno e concentrazione anche per gli spettatori, ma di indubbio spessore musicale. Castillos de España, La cubanita, Recuerdos de l’Alhambra, Capricho Arabe, alcuni tra i pezzi più belli eseguiti con evidente bravura e con un trasporto e partecipazione non comuni. Prossimo appuntamento della rassegna il sei marzo con il trio di fiati costituito da Giuseppe D’Antuono e Nunzio Grimaldi, entrambi al clarinetto e Francesco Paolo Balestrieri fagotto. Dal settimanale TorreSette del 12 febbraio 2010