A cura di Enza Perna

Marzo di due anni fa. Tutto pronto, confetti rosa, palloncini, corredino. Tutti in festa per l’arrivo della piccola Giorgia.

Antonella Donnarumma di Torre Annunziata, allora 35enne, incinta di 37 settimane e mezzo, il 19 marzo 2019 si reca al pronto soccorso di una struttura sanitaria privata per dolori lancinanti all’addome. 

Giunta in clinica viene sottoposta a tracciato e visita ostetrica dalla dottoressa di turno. “Tutto apposto, vai a casa e fai una Spasmex”. Questo è quello che le viene detto, prognosi confermata anche dalla sua ginecologa che l’ha seguita in ogni sua gravidanza.

Antonella torna a casa. Fa l’iniezione. Si mette a letto. Ma dopo quattro ore quei dolori diventano ancor più insopportabili, al punto da non riuscire a stare in piedi.

Nuova corsa in clinica. Qui viene sottoposta nuovamente a visita ostetrica ed ecografia. Dopo quest’ultima, viene portata direttamente in sala operatoria per un cesareo d’urgenza.

La bambina era in bradicardia, si era aperta una cicatrice dell’utero dei cesari precedenti. La piccola Giorgia bella come il sole, non è riuscita ad abbracciare la sua mamma.

“Dopo un anno finalmente martedì 2 febbraio inizia il processo al Tribunale di Torre Annunziata - così racconta Antonella con voce tremante –. La mia bambina poteva essere salvata. Sono riuscita a denunciare la dottoressa e l’intero staff della clinica solo dopo tre mesi dall’accaduto, assistita dai miei avvocati Giovanni Tortora e Maddalena Nappo. Non riuscivo a metabolizzare quanto mi era successo. Ho visto la mia bambina dopo nove mesi di attesa in una culletta mentre giaceva ancora inerme. L’ho stretta a me solo un attimo e ho sentito ancora il suo corpicino caldo. Sicuramente l’errore c’è stato – sostiene - perché nel periodo di gravidanza era andato tutto bene. Quella sera, la prima volta che sono corsa al pronto soccorso, ho implorato la mia ginecologa di farmi subito il cesareo, visto che era programmato per la settimana dopo. Ma lei non ha voluto”.

Si ferma Antonella, ancora piange per quello che le è accaduto. “Quando sono stata interrogata – continua –, il Pm ha ritenuto che persistessero tutti i capi di imputazione. Alla richiesta della mia cartella clinica non c’erano firme e non c’era nulla di quello che era successo. I tracciati e gli altri documenti sono spuntati fuori solo dopo che il Pm ha richiesto la mia cartella.  Le ostetriche interrogate, insieme agli altri indagati hanno dato tutti versioni diverse.  Dopo due anni ancora non so di chi sia stata la colpa, chi deve pagare per la morte di mia figlia. Io non riesco a rassegnarmi – si sfoga Antonella –, ho 3 figli e Giorgia doveva essere la più piccola della famiglia. Nella mia casa c’è e ci sarà sempre un posto vuoto a tavola, un letto vuoto. Mancherà sempre lei all’appello. Nessun potrà ridarmi indietro la mia bambina, nessuno potrà ricucire i pezzi del mio cuore, ma io voglio giustizia – conclude Antonella –, chi ha sbagliato dovrà pagare. Lo devo non solo a me, ma mia figlia Giorgia a cui le è stato negato di vivere e di abbracciare la sua mamma e il suo papà. Lo devo a lei. Glielo ho promesso quando le ho detto addio”.

(Nella foto, Antonella, quando ancora era in attesa, con il marito Rosario)