A cura della Redazione
Giancarlo Siani. Un nome passato tristemente alla storia di questa città. Definito da sempre “un cronista libero, un martire per la libertà”. La sua vicenda viene inserita nel libro della memoria storica di chi l’ha vissuta e di chi ha imparato a conoscerlo nel tempo. Protagonista di cronaca nera, vittima del male peggiore della nostra terra, la camorra. Ogni anno il suo nome viene ricordato a Torre Annunziata, città che gli ha dato sì spunto per i suoi scritti, ma che gli ha strappato la vita ingiustamente. Dal 2010 il liceo “Pitagora-Croce” organizza incontri e dibattiti per ricordare la figura del giornalista de Il Mattino, ucciso il 23 settembre 1985. In occasione del trentennale della tragica scomparsa, il dirigente Benito Capossela ha invitato il Procuratore della Repubblica di Campobasso della Direzione Distrettuale Antimafia, Armando D’Alterio, e i suoi stretti collaboratori che condussero le indagini dell’omicidio Siani, Giuseppe Auricchio, allora Commissario della Polizia di Stato a Torre Annunziata, e gli ispettori di PS Armando Trojano e Salvatore Cambio. Tutti protagonisti di questo incontro di lunedì scorso gli studenti dell’istituto di via Tagliamonte. Ragazzi che conoscono bene il personaggio Siani, ne raccontano la storia, l’esordio da giornalista precario, e il triste epilogo, attraverso la proiezione di diversi video da loro montati. Un’aula magna gremita di giovani che vogliono sapere, chiedere, conoscere. Il giudice D’Alterio fornisce risposte e informazioni su quello che ancora oggi viene definito il “caso Siani”. La morte del giornalista, a trent’anni di distanza, sembra essere intrinseca di lati oscuri, avvolta nel mistero, soprattutto dopo la pubblicazione del libro “Il caso non è chiuso. La verità sull’omicidio Siani”, scritto dal giornalista Roberto Paolo, caporedattore de Il Roma. Un libro choc che fa riaprire le indagini e induce l’autore ad avviare un’inchiesta, partendo dalle dichiarazioni di un ex malavitoso, Giacomo Cavalcanti, che si è rifatto una vita da persona onesta e ha scritto un libro in cui accenna, tra le altre cose, a un compagno di cella che gli avrebbe rivelato i nomi dei veri assassini di Siani, dei veri mandanti ed anche il vero movente. In merito a tale pubblicazione, il giudice D’Alterio sostiene: «E’ lodevole il lavoro svolto da Roberto Paolo. Ma non si può ribaltare una sentenza per delle dichiarazioni di un ex delinquente che in massima confidenza mi sottolineò che per vendere il suo libro si è inventato tale storia, confermando che la sentenza fosse quella giusta. Sono state avallate tante ipotesi sul movente - continua -. Addirittura all’inizio sostenevano che Siani avesse fatto uno sgarro al boss di Torre Annunziata, avviando una relazione con una donna del clan. Falsissimo. Giancarlo era del Napoletano e frequentava Torre Annunziata solo come giornalista. Un gran professionista, un uomo civico. Abbiamo percorso tutte le tracce partendo proprio dall’ultima indagine che lui stesso stava conducendo. Le cooperative. Gli arresti furono effettuati. Sono felice che giornalisti come Roberto Paolo - prosegue D’Alterio - continuino a riportare alla luce questo caso, perché è attraverso la memoria storica che il nostro operato prende forma. Grazie a questi incontri con gli studenti noi usciamo da quel meccanismo reato-punizione, che è sì la nostra missione ma che deve essere una spinta per la società verso il bene. Il compito di istituzioni, magistrati, giudici è la repressione. Punire il reato e condannare i colpevoli - ha concluso il Procuratore -, anche se questo è riduttivo. Fratellanza, collaborazione, sinergia della società, questo significa combattere il male». Le parole del giudice D’Alterio sono state molto apprezzate dai ragazzi e dallo stesso dirigente scolastico. «E’ un onore per me e per tutti noi - ha affermato Capossela - ospitare figure istituzionali legate al caso Siani. E’ un modo non solo di ricordare ma anche un momento di riflessione per questi giovani che rappresentano il nostro futuro. Il commissario Auricchio mi diceva che la delinquenza, rispetto agli anni ‘80, è davvero diminuita. Segno tangibile che eventi culturali come questo sono serviti a diffondere il concetto di legalità». Applausi continui. Non sono mancati momenti di commozione nel vedere scorrere le immagini di quel ragazzo, quel giornalista che si aggirava per le strade della città nella sua Citroen Mèhari verde, in cerca di notizie. Provava a cambiare le cose. Denunciare i fatti per l’amore verso la legalità e la giustizia. Un uomo che è stato punito perché aveva un’unica colpa: amare il suo lavoro. ENZA PERNA