A cura della Redazione
La conclusione più umiliante, la più temuta, quella definitiva: il fallimento. Così il Savoia, che quest’anno avrebbe dovuto festeggiare i cento anni di storia, ammaina, mestamente, bandiera bianca e nel giro di otto anni dichiara per la seconda volta lo stato di insolvenza. Una vicenda triste che non avremmo mai voluto raccontare. E, invece, ci troviamo qui a commentare la resa degli oplontini. Il presidente Angellotti non è riuscito a fare di meglio che portare i libri contabili in tribunale. Passa, così, alla sezione fallimentare iniziare la procedura concorsuale che vedrà la nomina di un curatore che avrà il compito di riassumere l’effettiva situazione debitoria (ed eventualmente la parte creditoria!) ed avvalorare la reale esposizione del Savoia, il punto dolente di tutta questa triste vicenda fin dallo scorso agosto. All’epoca, l’allora presidente Luigi Giannatiempo cedette una società, a guardare il bilancio ufficiale, “pulita” (appena 19.000 euro di debiti), che, però, non si è rivelata tale se dopo appena quattro mesi Angellotti è stato costretto alla resa. I soci o presunti tali, uno ad uno si sono tirati indietro, “spaventati” proprio dalla massa debitoria. Gli amici di Scafati, Tedesco e Cosenza che, in un primo momento hanno assistito Angellotti si sono chiamati fuori, poi l’apparizione del duo Giordano-Cirillo che, dopo la “sfilata” in compagnia di Alemao al Giraud, ha guadagnato trafelato l’uscita e, infine, Peppe Massa, il cui commercialista non ci ha visto chiaro nei conti, invitando il suo assistito a desistere dal tentativo di acquistare il Savoia. Da Pasquariello ad Angellotti, in questi otto anni, si sono susseguite solo pessime gestioni, eccezion fatta per quella di Nazario Matachione, l’unico, a portare avanti, con coerenza il discorso societario. Con lui, in un primo momento assistito da Floro Flores, il Savoia ha sfiorato per due anni consecutivi la promozione in serie C2. Poi il suo progetto di proseguire con una squadra di giovani non è piaciuto a molti e il farmacista, suo malgrado, ha ceduto la società, di nuovo a Pasquariello. L’inconsistenza monetaria dell’imprenditore vomerese ha favorito, poi, l’avvento velleitario ed umorale del duo Moxedano-Bouchè, seguito dal ritorno dei Farinelli: un anno e mezzo di gestione inadeguata che ha preceduto l’intervento di Giannatiempo e poi di Angellotti. Una situazione che si è aggravata giorno dopo giorno portando il Savoia al fallimento. Anche gli ultimi giocatori che avevano deciso di restare si sono visti costretti ad andare via. Una situazione gravissima. A questo punto tanta è l’amarezza che scuote l’intera città. Una tifoseria ferita nell’orgoglio che, ancora una volta, ha fatto di tutto per recitare la propria parte. Purtroppo è stato inutile. Ed ora? E’ doveroso che il sindaco Starita si faccia garante dello stato attuale. Lui che, in campagna elettorale in un manifesto si diceva orgoglioso di essere tifoso del Savoia. Adesso le parole non servono più. Il primo cittadino dovrà farsi carico della situazione e ricercare in questi mesi uno o più imprenditori seriamente intenzionati a far ripartire il calcio a Torre Annunziata. Una delle ipotesi sarebbe quella del fitto del ramo d’azienda, ovvero della parte produttiva della società che, però, essendo in stato d’insolvenza potrebbe essere difficilmente praticabile. E allora la buttiamo lì. Perché il sindaco non contatta Aurelio De Laurentiis, lui che ha riportato il Napoli nel grande calcio, chiamato al capezzale della squadra espressione della città che ha dato i natali alla sua famiglia, potrebbe decidere di intervenire. Chissà... mai dire mai. Certo questa è una evidente forzatura ma serve a rendere l’idea della concretezza che si chiede al primo cittadino. Occorre scuotersi. Le riunioni, le parole non hanno portato a nulla. La città non può rinunciare al suo vessillo sportivo. Il titolo a fine stagione finirà di esistere, bisogna far presto, si è perso troppo tempo. RODOLFO NASTRO