A cura della Redazione

Champions League, Napoli-Liverpool: le pagelle di Petronio

Ospina – voto 6. Incredibile a dirsi, ma il Liverpool non ha mai calciato in porta. Due ottime uscite basse nel secondo tempo con perfetta scelta di tempo. Si è intravisto anche un leggero miglioramento quando è stato chiamato (molto spesso) a giocare il pallone con i piedi.

Koulibaly – voto 7. “The Great Wall”. Clamorosa partita del centrale senegalese. Annienta Momo Salah come se l’attaccante egiziano fosse l’ultimo degli scarsoni e, nel momento di massima spinta del Napoli, si trasforma anche in esterno offensivo. L’unica pecca della sua gara (quasi) perfetta, la solita stupida ammonizione rimediata per “eccesso di foga”.

Albiol – voto 6,5. Gara autoritaria del difensore spagnolo che riesce a tenere a bada senza particolari sforzi due velocisti come Manè e Firmino. Guida il reparto difensivo con calma olimpionica.

Maksimovic – voto 6,5.  Schierato a sorpresa da Ancelotti nella difesa a tre, il difensore serbo è autore di una partita impeccabile e priva di sbavature. Bene sia con i piedi che nel gioco aereo, controlla Manè senza andare mai in affanno. Nikola sta ampiamente ripagando la fiducia concessagli da Carletto.

Mario Rui – voto 6+. La grinta e il cuore che ci mette sono degni di un encomio. Ma i limiti tecnici sono tanti, forse troppi per confrontarsi a determinate altitudini. Specie nel secondo tempo, causa anche la stanchezza, sbaglia un numero indefinito (o infinito) di passaggi e stop. Tiene sotto controllo Salah durante le rare incursioni offensive dei reds e non fa comunque mancare la propria spinta sulla fascia. Ottimo l’assist servito a Mertens in occasione della traversa colpita dal belga.

Hamsik – voto 6,5. Prima gara stagionale in cui ha raggiunto la sufficienza. Questa volta non si è eclissato Marek, non si è nascosto, come invece spesso è accaduto in passato quando il Napoli si è confrontato con avversari di rango uguale o superiore. Sempre nel vivo della manovra, il capitano sta dando i primi segnali di risveglio in un ruolo, questo è certo, in cui non si sente particolarmente a suo agio.

Allan – voto 8. “The Dominator”.  Polmoni bionici quelli del centrocampista scuola Vasco Da Gama. Un mix letale di corsa, forza, intensità e cazzimma. Calciatore totale, l’unico dal quale questo Napoli non può prescindere, senza se e senza ma. Se vi capita di passare dalla parti di Castelvolturno, in questo momento, lo incrocerete mentre ancora corre. Non ha mai smesso. Un Forrest Gump versione 2.0: «Mi chiamo Allan, Allan Marques Loureiro!».

Fabian  Ruiz – voto 6. Il meno brillante tra le fila degli azzurri, ma le doti tecniche appaiono indiscutibili. La sua imponente struttura fisica (è alto 189 centimetri) lo limita dal punto di vista della rapidità. Emblema di quanto appena detto, l’eccessiva lentezza in occasione della potenziale occasione capitata sui suoi piedi nella ripresa: tra il controllo della palla ed il tentativo di calciare di mezzo c’è passata un’eternità.  

Callejon – voto 7. Gran partita quella di José che fa il bello e il cattivo tempo sulla fascia destra. Così come per Benitez prima e Sarri poi, anche per Ancelotti lo spagnolo è un’insostituibile. Al minuto 89 ha ancora la forza di fare l’ennesimo scatto e servire ad Insigne l’assist per il gol che regala i tre punti agli azzurri.

Verdi – voto 6. Subentra al 23’ del secondo tempo al posto di Fabian Ruiz. L’impatto sul match non è stato particolarmente significativo e l’unico pallone calciato dall’ex Bologna verso la porta difesa da Alisson ha terminato la sua corsa a Piazzale Tecchio. In compenso ci mette tanta voglia, pronto anche a rincorrere e contrastare i calciatori avversari nella trequarti azzurra. E se consideriamo che si trattava del debutto assoluto in Champions League, è doveroso concedergli le giuste attenuanti del caso.

Zielinski – s.v.

Mertens – voto 6,5. Questa volta la partita l’ha spaccata per davvero. Sguardo e atteggiamento giusto, Dries entra in campo come pervaso da una scarica elettrica. La traversa colpita sul cross di Mario Rui è l’antipasto di un finale di gara che, forse, potrà riscrivere la storia del girone ribattezzato “della morte”.

Milik – voto 6,5. Compito arduo battagliare con quei “bei pezzi di marcantoni” di Van Dijk e Gomez, ma Arkadiusz non si tira di certo indietro. Fa continuamente a sportellate e lotta su ogni singolo pallone che passa dalle sue parti. Torna indietro e fa da raccordo tra centrocampo ed attacco consentendo alla squadra, in taluni casi frenata dal pressing di Milner, Wijnaldum ed Henderson, di alzare il proprio baricentro. Due le conclusioni verso la porta dei reds, entrambe parate da Alisson.

Insigne – voto 8. “Nemo propheta in patria”. La locuzione latina non si addice, per fortuna e ormai da un po’ di tempo a questa parte, al Magnifico da Frattamaggiore. I numeri difficilmente mentono: sei gol in otto partite sono la testimonianza che qualcosa è cambiato. Lorenzo, a 27 anni, ha finalmente raggiunto la giusta maturità, anche a livello europeo, per assumersi determinate responsabilità e caricarsi sulle spalle il resto della squadra soprattutto nei momenti di difficoltà. Insigne, per Jurgen Klopp  è ormai come la kryptonite, una sentenza quando affronta le squadre guidate dal tecnico tedesco. L’adrenalinica corsa all’89’ sotto la curva, dopo il gol del vantaggio azzurro, è un inno all’appartenenza. E’ un turbinio di emozioni. E’ l’epilogo perfetto di una notte perfetta.

Ancelotti – voto 8. Chapeau! Il tecnico emiliano cambia nuovamente modulo, affidandosi al 3-5-2. Mossa che paga enormi dividendi, producendo un effetto devastante sul piano-partita di Klopp e gli fa andare completamente in pappa il cervello. Il Liverpool non calcia mai, e sottolineo mai, verso la porta difesa da Ospina. Il tecnico tedesco, nelle intervista post-gara, dice che a meritare è stato il Napoli (avrebbe avuto una bella faccia tosta a dichiarare il contrario) e che non ricorda quando è stata l’ultima volta che una sua squadra ha chiuso con zero tiri. Ammissione consapevole di chi è perfettamente conscio dell’evidente superiorità degli azzurri nella notte di Fuorigrotta.

Il processo di trasformazione è ultimato. Non è più il “Napoli di Sarri”, questo è il Napoli di Ancelotti.

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