A cura della Redazione

I finanzieri del Comando provinciale di Bologna hanno eseguito, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia felsinea, un decreto di sequestro preventivo, anche “per equivalente”, di beni per oltre 32 milioni di euro, emesso dal G.I.P. del locale Tribunale nei confronti di un sodalizio criminale dedito alla commissione di reati fallimentari e tributari nonché al conseguente riciclaggio dei proventi illeciti, anche per il tramite di compiacenti cittadini cinesi.

Sono 25 le misure cautelari emesse, 32 le persone denunciate, 15 quelle arrestate in diverse regioni italiane, nelle province di Ancona, Arezzo, Barletta, Bologna, Brescia, Crotone, Foggia, Lucca, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Parma, Pavia, Prato, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trapani, Treviso, Udine, Venezia e Verona.

Gli accertamenti, a cura del Nucleo di polizia economico-finanziaria delle Fiamme Gialle di Bologna, hanno permesso di ricostruire come la consorteria criminale, nota come “banda del buco” e composta da bancarottieri “seriali”, fosse deputata alla continua acquisizione di società in crisi ma dotate di apprezzabili asset, da depredare e condurre al fallimento.

Le indagini hanno consentito di appurare che l’organizzazione, una volta subentrata alla guida, nel corso del 2020, di un gruppo societario dell’hinterland bolognese - composto da una holding e altre 3 s.r.l. sottoposte al suo controllo - operante nei settori della dermo-cosmesi e della Grande Distribuzione Organizzata con ben 32 supermercati dislocati tra Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia), abbia effettuato vere e proprie operazioni di “sciacallaggio” ai danni delle società in questione, cagionandone dolosamente il dissesto, è la tesi degli inquirenti.

Tra le principali operazioni contestate, figurano la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a new-co riconducibili all’associazione pregiudicando, peraltro, la riscossione coattiva da parte dell’Erario per 3,3 milioni di euro di tributi.

La conduzione illecita della catena di supermercati ha permesso agli indagati di lucrare sulla gestione del personale, assunto e somministrato attraverso società di “comodo” che hanno compensato i relativi contributi previdenziali e assistenziali, nonché le ritenute sul lavoro dipendente, con crediti d’imposta fittizi per oltre 2 milioni di euro.

Gli ingenti proventi illecitamente accumulati sono stati reinvestiti in nuove iniziative imprenditoriali, tra cui l’acquisto di un noto prosciuttificio sito nel Parmense, ovvero trasferiti - per la loro successiva “ripulitura” - a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc per giustificare i flussi finanziari.

Tra queste spiccano tre “cartiere”, formalmente con sede a Milano, amministrate da soggetti di etnia cinese irreperibili che, in meno di un anno, hanno emesso fatture false nei confronti di centinaia di imprese italiane realmente esistenti per 7 milioni di euro, nonché ricevuto bonifici sui propri conti aziendali per 11 milioni di euro.

In sostanza, le risorse finanziarie, riconducibili a operazioni commerciali fittizie, una volta accreditate venivano immediatamente trasferite in Cina, con contestuale retrocessione agli imprenditori italiani del contante di dubbia provenienza per un importo equivalente, al fine di monetizzare l’evasione fiscale ovvero distrarre risorse finanziarie dalle società.

Trait d’union tra i membri della consorteria e i citati soggetti asiatici, sono risultati essere due coniugi (l’una cinese, l’altro italiano) residenti nell’Aretino e implicati anche in un florido “giro” di prostituzione di giovani connazionali della donna.

I finanzieri hanno infien ricostruito come il sodalizio, nell’ultimo periodo, avesse rivolto la propria attenzione su un nuovo target, ossia una storica società ittica sita nel Tarantino dotata di un consistente patrimonio, ma sovra-indebitata e in crisi di liquidità, in procinto di essere “saccheggiata”.