A cura della Redazione
La Seconda Guerra Mondiale, l’immenso bagno di sangue, in Europa era finita da nove mesi. A Torre Annunziata gli Alleati erano arrivati già dal settembre del 1943, e dopo il tremendo, gelido e memorabile inverno del 1944, la nostra città ormai viveva in un pieno clima di dopoguerra. Oltre ai lutti, alle devastazioni, non solo delle cose ma anche degli animi, la Guerra aveva lasciato una quantità immensa di materiali dispersa per tutti i campi di battaglia e per ogni dove. I carri armati devastati, i camions, ma soprattutto una immane quantità di ordigni e munizioni inesplose o mai utilizzate doveva essere recuperata per essere opportunamente smaltita. Lo scalo merci ferroviario di Torre Annunziata era un nodo importantissimo per il transito di questo pericoloso materiale bellico. Alla fine di gennaio del 1946 vi erano nello scalo merci della stazione marittima circa trenta vagoni carichi di munizioni. La sera del 21 gennaio, per cause che sono rimaste ancora oscure ed anche controverse, quindici vagoni di munizioni presero fuoco. Il primo scoppio avvenne nel pomeriggio, intorno alle 18. La gente che stanca ritornava a casa, alle prime incerte lampade che illuminavano a malapena le strade principali della città dopo tanti anni di buio, ebbe paura ed affrettò il passo. Dieci minuti più tardi il secondo scoppio, il più terribile. La popolazione si riversò nelle strade, sbandando da ogni parte in cerca di ricovero. Grida disperate si alzarono da ogni parte. Una pioggia di calcinacci, di infissi, di serrande metalliche copriva tutte le strade del centro. Altri tre scoppi violenti, ed ancora, fino a tarda sera, proiettili di tutti i calibri, bombe di aeroplano, nastri di mitragliatrici continuarono a scoppiare l’uno dietro l’altro provocando paurosi incendi nella zona, arrecando morte e terrore. Le tremende esplosioni, con il conseguente spostamento d’aria, rasero al suolo, completamente, il vecchio quartiere marinaro. La città intera era stata devastata e danneggiata, centinaia gli edifici lesionati e sventrati, interi impianti industriali distrutti, migliaia di case rese inabitabili, intonaci saltati, infissi trasportati come fuscelli a centinaia di metri al di sopra dei palazzi. Una fiumana di gente corse come impazzita, incerta sul dove andare avendo come luce solo una pallida luna, dirigendosi verso le strade che conducevano a Trecase, Boscotrecase e Boscoreale, in cerca di un rifugio disperato. Ovunque si camminava su un tappeto di vetri e macerie. Altri, lasciate le case deserte, correvano in un’orribile oscurità tra le campagne in preda ad un indescrivibile panico. Fu un esodo agghiacciante. Un’alba tragica, sconvolgente, si affacciò il mattino dopo, sulla città distrutta. Il quartiere dei pescatori, posto tra via Castello e via Stella, non esisteva più. Era diventato un unico ammasso dolorante di mura crollate, di case abbattute dalla furia devastatrice delle terribili esplosioni. Dalle macerie grida di aiuto e lamenti di feriti si levavano, intere famiglie vi erano rimaste intrappolate per tutta la notte. Con i primi soccorsi le persone cominciarono ad esser liberate e apparvero i primi morti. Al porto crollarono le mura dei magazzini generali sotterrando tonnellate di grano, la casa del portuale fu distrutta, gli uffici di capitaneria abbattuti, le banchine ed i pontili subirono enormi squarci nelle loro strutture. La Basilica della Madonna della Neve, posta nelle immediate vicinanze del luogo delle deflagrazioni, fu gravemente danneggiata. In quei tragici momenti, il vecchio parroco si trovava in sagrestia e vide la sua chiesa crollare, ma fra tanta distruzione il trono di Maria SS. della Neve era rimasto intatto. Il vecchio sacerdote si inginocchiò e con le lacrime agli occhi implorò salvezza per la sua città. A Torre Annunziata furono inviati viveri, medicinali, coperte, razioni di pane, aiuti pervennero da tutti i comuni vicini, giunsero medici per aiutare i colleghi torresi, arrivarono soldati in aiuto dei Vigili del Fuoco. Una città devastata, tre anni di guerra e di bombardamenti, forse, non erano riusciti a fare quello che, in una sola sera, l’esplosione aveva provocato. Alla nostra città non era stata risparmiato quell’ultimo lampo di dolore e devastazione. In quella sera di gennaio del ’46 , rimasta nella memoria di ogni famiglia torrese, la triste consapevolezza di essere scampati alla guerra e la speranza di un futuro migliore furono infrante dalla triste realtà. Vite, cose, sogni bruciati in un attimo. Come quelli di un giovane artista torrese, appena ventenne, che aveva costruito un piccolo teatrino in via Castello, dove ogni sabato si esibiva con i suoi burattini ed i pupi da lui costruiti. Con lo scoppio dei carri, di quei sogni e di quel teatro rimase solo polvere. Quel giovane era mio padre... ANNA ARICO’