A cura della Redazione
E’ cambiato il nome e forse anche la realtà: oggi lo chiamano medico di base, una volta era il medico di famiglia. Cioè quasi uno di famiglia, uno del quale potersi fidare sempre al cento per cento. E non solo per ricevere consigli e prescrizioni sul proprio stato di salute. Il dottor Ciccio Fogliamanzillo – morto qualche giorno fa, lasciando la moglie Teresa Irlando e i figli Mara e Mario – è stato proprio questo. Ha avuto migliaia e migliaia di pazienti, ha unito Torre nord e Torre sud, senza mai fare differenze, confrontandosi quotidianamente con le stesse emergenze di oggi. Lo ha fatto per mezzo secolo: ha cominciato quando la mutua era appena una conquista, ha chiuso quando la produzione di carte superava ampiamente quella di parole di conforto e l’informatica imponeva un linguaggio senza cuore e con troppi link. Il tono della voce era inconfondibile, avresti potuto riconoscerla anche restando in un’altra stanza gremita di voci. Faceva parte integrante del personaggio, avrebbe potuto essere un formidabile interprete del neorealismo. Sempre autenticamente vero, senza sovrastrutture ideologiche, dedito alla professione fortissimamente inseguita. Un malato, per lui, era innanzitutto una persona, non un numero di matricola registrato all’Asl. Una persona da trattare anche con ironia, se l’ironia in quel momento era il miglior medicinale possibile. E il diario di quelle giornate trascorse tra lo studio e decine di capezzali diventava spesso aneddoto, raccontato alla sua maniera, con leggerezza e disincanto. Un esempio? Eccolo: un paziente, dopo aver più volte sollecitato l’urgenza dell’intervento, lo accoglie durante una visita domiciliare: “dottore, sapeste che dolore di testa ho oggi…”, e lui, ormai giunto alla fine del giro quotidiano: “doveste sapere come sta chi vi sente…”. Una battuta che vale più di un cachet. Ricordiamolo così, il dottore: con un sorriso. MASSIMO CORCIONE