A cura della Redazione

Il 15 aprile 2013 la Goldman Environmental Foundation di San Francisco ha assegnato il “Premio Ambientale Goldman”  a sei figure internazionali che si sono distinte per la loro attività in difesa dell’ambiente e della qualità della vita delle comunità in cui vivono e operano.
Per l’Europa il premio di 150.000 dollari offerti a sostegno di progetti per l’ambiente, è andato ad un italiano: Rossano Ercolini di Capannori, in provincia di Lucca, il cui impegno ha dato avvio ad una campagna di sensibilizzazione pubblica sul pericolo degli inceneritori ed ha fatto nascere il Centro Rifiuti Zero del comune di Capannori, divenuto poi un movimento nazionale.
Per chi appartiene al settore del vending, Rossano Ercolini, Comune di Capannori e Centro Rifiuti Zero non sono nomi nuovi e si collegano a un problema sempre più sentito nella distribuzione automatica: lo smaltimento delle capsule in plastica.
Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 proprio da questo piccolo comune toscano è partito l’allarme sui rischi ambientali derivati dal crescente consumo di caffè monoporzionato, soprattutto quello confezionato in capsule di plastica, che sta prepotentemente soppiantando l’uso della tradizionale caffettiera anche nei consumi domestici.  Il consumo di caffè monoporzionato è stimato in un miliardo di capsule pari a  un miliardo di contenitori di plastica, oggetti di piccole dimensioni concepiti in modo che, una volta utilizzati, non possano essere separati dal loro contenuto, ossia dalla polvere di caffè esausta.
A ciò si aggiunge un ulteriore problema: la Direttiva 2013/2/UE, non considerando la capsula piena come un imballaggio, ne destina automaticamente il conferimento nei rifiuti indifferenziati, generando un accumulo di contenitori di plastica non riutilizzabili.
A partire da queste considerazioni, nel 2010 il Comune di Capannori decise di produrre un “case study” scrivendo una lettera aperta al maggior produttore italiano di capsule di caffè, la Lavazza. In essa si chiedeva all’azienda torinese un confronto costruttivo per individuare una soluzione al problema, allo scopo di sottrarre dallo smaltimento le capsule del caffè ‘usa e getta’ e puntare così  a garantirne la riciclabilità.
Dopo alcune settimane, l’Associazione Italiana Industrie Alimentari (AIIPA), di cui fa parte anche Lavazza, si rese disponibile ad un incontro  e ad impegnare il proprio gruppo di lavoro, già da tempo attivo nella ricerca di innovazioni tecnologiche capaci di ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi. A partire da quel momento si è aperto un dialogo costruttivo tra le parti, in cui il Centro Rifiuti Zero di Capannori si è sempre posto come punto di riferimento.
A marzo del 2013 la collaborazione con aziende torrefattrici e associazioni ambientaliste ha animato lo showroom “Separare il caffè dal suo contenitore si può: sempre!” a cui hanno partecipato i rappresentanti sia di aziende produttrici di capsule che di associazioni ambientaliste. Lo showroom si è subito trasformato in un tavolo permanente, un punto di riferimento per tutti i nuovi progetti e le nuove idee volte a ricercare una soluzione al problema.

Per comprendere meglio il percorso compiuto dal Centro Rifiuti Zero ci siamo rivolti proprio a Rossano Ercolini che ne è il coordinatore dal 2009.

Affrontiamo tout court il problema capsula. Ci spiega come mai l’attenzione del Comune e del Centro Rifiuti Zero di Capannori si è focalizzata proprio su questo piccolo oggetto di plastica?
Devo necessariamente fare una piccola premessa. La principale attività del Centro è quella di monitorare materialmente cosa rimane nel sacco grigio dopo la raccolta “porta a porta”. Nel sistema tradizionale, chiamato sistema di gestione integrato dei rifiuti, il rifiuto urbano residuo viene messo in discarica o viene trasformato in pericolosissime polveri o nanopolveri . Nel sistema “rifiuti zero” il residuo rappresenta la parte patologica del sistema che non può essere occultata, ma va resa visibile e va studiata.
Attraverso i sopralluoghi effettuati e lo studio dei rifiuti, il Centro è giunto alla conclusione che esistono 3 famiglie di rifiuti che riempiono il sacco grigio. C’è la famiglia di quelli che noi chiamiamo “errori d’intercettazione” come ad esempio la buccia di banana o la frazione organica che rimane nel sacco dei  non riciclabili. Poi c’è la famiglia dei riparabili e riutilizzabili:  piccoli elettrodomestici come il ferro da stiro o capi d’abbigliamento come borse e scarpe. Qui a Capannori, grazie ad un centro di riparazione e riuso promosso dal Comune, molti di questi oggetti possono avere una seconda vita ed essere destinati semmai a chi ne ha bisogno, evitando così il passaggio in discarica. Infine c’è la  terza famiglia, la più interessante, vale a dire quella dei non riciclabili e dei non compostabili. All’interno di questa famiglia ci ha colpito in particolar modo la capsula di caffè che troviamo nel sacco grigio in quantità sempre più consistenti.

A questo punto e di fronte a questa “scoperta” avete voluto coinvolgere la Lavazza scrivendole una lettera. Nel momento in cui avete preso questa decisione,  prevedevate di andare a cozzare contro un muro o immaginavate di poter intraprendere un percorso costruttivo?
Le confesso che temevamo di essere ignorati e che la nostra richiesta cadesse nel dimenticatoio. Certo, in fondo speravamo che venisse accolta e, in tal caso, poter contare su un interlocutore del settore industriale di così grande portata, ci lasciava presupporre che il discorso da noi lanciato avrebbe potuto compiere un percorso costruttivo, proprio grazie al supporto del team del Centro Ricerca & Sviluppo della Lavazza.

Qual è oggi la vostra posizione rispetto  a  questo problema?
Siamo stati coinvolti nel programma di progettazione di sistemi alternativi per la capsule ma, ancora oggi, il tavolo che si è avviato insieme ad AIIPA non è ancora riuscito ad individuare un’alternativa sostenibile al sistema di incapsulamento del caffè. Nel frattempo, al di fuori di questo tavolo, sono emerse delle soluzioni nelle quali noi del Centro Rifiuti Zero rintracciamo elementi molto soddisfacenti in termini di sostenibilità ambientale.

A quali soluzioni si riferisce?
Il primo caso che abbiamo riscontrato è l’ecocapsula promossa da un’azienda che si chiama “Centocaffè”, la quale ha brevettato un sistema di capsula ricaricabile fino a 2-300 volte. È una capsula compatibile per il sistema Lavazza e il sistema Nespresso, i più diffusi, ed è una capsula versatile in quanto utilizzabile anche per infusi come il the.

Quali sono le altre soluzioni che avete preso in considerazione?
Il secondo progetto che ci ha colpito è stato quello della compressa di caffè, che ci è sembrata particolarmente interessante perché viene proposta in diverse modalità applicative che vanno dalla moka alla macchinetta automatica. Ciò significa che i consumatori, abituati alla caffettiera tradizionale così come coloro che sono passati alla macchinetta automatica, hanno a disposizione un sistema unico, non devono stravolgere le loro abitudini, né fare un grosso lavoro per separare il caffè dall’involucro. Questo, infatti, è costituito da un piccolissimo quantitativo di polipropilene che può essere facilmente gettato nel contenitore della plastica e, quindi, avviato al riciclaggio. La compressa usata, invece, entra a far parte dei rifiuti organici e quindi dei materiali destinati al compostaggio.

La compressa rappresenta per voi l’unica soluzione possibile?
Guardi, noi non facciamo marketing e non ci interessa sponsorizzare prodotti di aziende private ma, al momento, non c’è altro prodotto che possa essere una soluzione facilmente adottabile da parte del consumatore. La compressa, inoltre, è una soluzione che accontenta tutti: sia chi usa la caffettiera tradizionale, che ne apprezza l’aspetto igienico e il fatto che non sporca; sia chi utilizza macchinette automatiche, che godrà degli stessi vantaggi e non dovrà lavorare più di tanto per gestire il rifiuto caffè.

E per tutti coloro che utilizzano macchine a capsule, dove la compressa di caffè non è adattabile? Ci sono possibili soluzioni in vista?
Sì. Partendo dal concetto che il monoporzionato “usa e getta” dovrà essere gradualmente superato, nello showroom di Capannori sono stati messi a punto sistemi basati su “capsule smontabili” adatte anche a macchine di brand famosi. In tal senso, mi risulta che anche Coop Italia ha individuato un sistema che consentirebbe di recuperare facilmente i fondi del caffè, in modo da avviare al riciclo la capsula di polipropilene svuotata, mentre i residui di caffè potrebbero essere riutilizzati a fini agronomici. Su quest’ultimo punto sta lavorando la Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze.

Un’ultima domanda: cosa ha spinto un insegnante delle scuole primarie a prendere a cuore una questione così grande quale quella dell’ambiente?
Semplicemente perché sono partecipe di un senso di responsabilità da condividere con le generazioni future. L’essere un maestro elementare e lavorare con i bambini mi espone ancor di più alla comprensione di quanto sia interessante il valore aggiunto del messaggio educativo. In fondo non faccio altro che svolgere la mia fnzione di educaore rivolgendola all’intera comunità.