A cura della Redazione

Il saccheggio all'interno dell'ex cinema Metropolitan

A Torre Annunziata, dove adesso esistono i resti (ahimé) del cinema teatro Metropolitan, esisteva un mulino che negli anni ’40 era già inattivo. Nel ’43, prima ancora dell’armistizio dell’8 settembre era presente nella nostra zona un distaccamento di truppe tedesche che, fra altro, avevano occupato quell’edificio destinandolo a deposito di materiale di sussistenza per le truppe. Come è noto subito dopo l’armistizio dell’8 Settembre del ‘43 gli alleati angloamericani sbarcarono a Salerno e, combattendo poi su diverse direttive, poi si diressero verso Napoli.

Il distaccamento tedesco, prima di ritirarsi da Torre Annunziata, decise di incendiare quell’edificio destinato a deposito. Persone di buon cuore se ne trovano dovunque, e fu così che uno di quelli che avevano avuto questo ordine uscì sulla piazzetta e chiamò i passanti invitandoli ad entrare e prendersi quello che potevano. In men che non si dica funzionò il tam tam e così centinaia di persone si riversarono in quel posto svuotandolo rapidamente. Così si vide per strada gente che trasportava sapone di diversa specie, cibarie, pentole e perfino carta igienica. Dopo di che l’edificio fu incendiato.

Per la cronaca, un mio pro zio che all’epoca viveva con noi si trascinò una cassetta contenente nove scatoloni di latta del peso di 5 chili ciascuno pieno di marmellata di ciliegie. Sul destino di questa marmellata dirò poi in una prossima occasione.

Il saccheggio nell'ex Caserma Garibaldi

In Via Roma, nell’area dove attualmente è ubicata l’isola ecologica, esisteva un edificio militare che era nominato “Caserma Garibaldi” adibito a lavanderia militare. A seguito del disfacimento dell’esercito dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’edificio, che era stato in parte danneggiato da uno dei bombardamenti avvenuto in quel periodo, fu abbandonato dai militari che avrebbero dovuto sorvegliarlo. Quando qualcuno se ne accorse vi penetrò asportando quello che vi si trovava. Si sparse la voce e in men che non si dica i resti della Caserma furono completamente svuotati. C’erano indumenti militari, alcuni nuovi di zecca, anche se di panno ruvido e qualità molto scadente, altri invece lì per essere lavati. C’erano anche scarpe ed alcune coperte, beni che poi cominciarono a circolare sottoforma di compravendita o baratto. Mia madre comprò due cappotti, li tinse con tintura blu e mi confezionò un vestito.

Il saccheggio nell'ex colonia marina

Come ho detto altre volte, per lunghi periodi nel ’43 e nel ’44, fra le tante cose che mancavano ci furono anche il carbone e la legna, entrambi unici combustibili utilizzabili. Sul lato orientale della nostra spiaggia al confine del muraglione del porto e precisamente sulla zona dove poi fu installato il complesso balneare denominato Santa Lucia (di cui ora rimangono solo i resti) c’era una colonia marina. Si trattava di una costruzione in legno ad un solo piano abbastanza estesa da ospitare una cinquantina di bambini di cui una parte poi anche per il pernottamento e la mensa.

Nel periodo di guerra a causa di un forte temporale con conseguente mareggiata, buona parte della struttura fu travolta per cui rimase abbandonata e non più ristrutturata. Dopo gli avvenimenti che ho qui descritto e probabilmente sulla scia di essi molta gente, per la disperazione conseguente alle costanti privazioni, si riversò a “prelevare” i resti dell’ex colonia marina, nella quale, fra altro, erano rimasti sia pure in piccole quantità anche materassi, lenzuola e stoviglie.

Il saccheggio al campo sportivo Formisano

Il campo sportivo Formisano, dove si svolgevano gli incontri di calcio del Savoia, era ubicato sulla collinetta dove adesso sorge un piccolo complesso residenziale popolare (via Rocco) al confine con la sottostante Via Marconi.

Al campo si accedeva dal civico n. 475 di corso Vittorio Emanuele III, attraversando prima un piccolo tratto agricolo e poi un ponticello sul trincerone ferroviario. Il suolo del campo sportivo era di terreno ordinario, lapilleo: di prato neanche a parlarne, per cui i giocatori nelle loro cadute e il portiere nei suoi tuffi erano martirizzati.

Su un lato di campo c’era un manufatto che veniva pomposamente chiamato tribuna, costituito da diversi piani a scalare formati da tavoli di legno montate su una struttura in ferro. Un po’ alla volta anche quelle tavole sparirono.

Narrare oggi queste cose possono dare una impressione certamente poco simpatica  circa la serietà e l’onestà del popolo torrese. Ma più che attenuanti ci sono due esimenti che portano ad escludere qualsiasi giudizio negativo: da una parte lo stato di necessità di privazione estrema in cui si trovava il popolo in quel periodo, e dall’altra parte l’abbandono completo in cui questi beni si trovavano e che si sarebbero comunque deteriorati per il decorso del tempo.

(Nella foto, l'ex cinema Metropolitan di Torre Annunziata)